Visioni oniriche in Giappone: Red Girls di Sakuraba Kazuki

Oggi vi consiglio il primo romanzo approdato in Italia della scrittrice nipponica Sakuraba Kazuki, famosa all’estero per tutti i premi vinti e per la sua fama di vorace lettrice- per sua stessa ammissione circa 400 libri all’anno!-.

Il romanzo in questione è Red Girls, pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o. È una saga familiare che parte dal 1953 e raggiunge la contemporaneità, raccontando non solo le vicende dei protagonisti, ma anche i grandi cambiamenti che hanno attraversato il Giappone in questo ultimo mezzo secolo. L’intero romanzo è infatti contraddistinto dalle due anime parallele che animano quel Paese: da un lato l’avvento dell’ipermodernità attuale, dall’altro una dimensione sempiterna magica e quasi sospesa, di eterno sogno da svegli.

Il racconto viene portato avanti per bocca di Toko, nostra contemporanea, che dà voce a tre generazioni di grandi donne accomunate da una grande forza e dal sangue, ma diversissime tra loro: una nonna chiaroveggente, una mangaka motociclista scalmanata e femme fatale, e infine la stessa Toku, perfetto specchio della nostra generazione occupata a combattere per trovare un proprio ruolo significativo nel mondo, eppure sempre intrappolata in una sensazione di inadeguatezza immanente.

Il romanzo è diviso in tre parti: tutto inizia con Man’yò, una bambina “figlia della montagna” (primo elemento onirico del romanzo) abbandonata dalla sua stirpe magica e cresciuta da un’umile famiglia del luogo. La bambina, probabilmente in quanto progenie di quella stirpe semisconosciuta e magica, ha continue visioni e prefigurazioni del futuro. È convinta che vivrà una vita banale e umile in un paese sempre più attraversato dall’industrializzazione, ma il suo destino cambia quando la famiglia Akakuchiba la designa come moglie dell’erede della facoltosa famiglia, proprietaria degli altoforni e dunque della stessa industrializzazione del paese. La ragazzina vivrà una vita di agi, ma probabilmente infelice, perennemente in balia di un destino che ha anche la sfortuna di poter sognare prima ancora che si realizzi. E la prima parte del romanzo dunque, forse la più poetica, è dedicata proprio a questa ragazzina, costantemente in bilico tra realtà e immaginazione. Man’yò è un essere misterioso, onirico in sé: è una bambina scesa dalle montagne, con la pelle scura che la distingue subito dai visi pallidi di chi la circonda.

A lei e alla sua apparente fragilità- accetta il suo destino senza porsi domande, eppure guarda lontano-, si oppone la successiva protagonista Kemari, sua figlia. È una donna forte, affascinante, in grado di porre in soggezione chiunque. È un personaggio altamente sfaccettato: è a capo di un collettivo di motocicliste chiamate le Ladies, in tanti episodi è spietata, ma è anche capace di assoluti atti di bontà.

Sembra quasi impossibile che da lei nasca la terza protagonista, Toku, che è anche la narratrice dell’intera saga ed è colei che ricostruirà i fili profondi dietro alle dinamiche familiari che si dipanano intricate nel corso degli anni. Pagina dopo pagina, si scoprono luci e ombre di questo ambiente misterioso ed è proprio questa ricerca nella propria storia familiare che infine dà una ragione di vita a quest’ultima giovane protagonista del libro, che porta sulle spalle l’eredità sconosciuta, affascinante e inquietante di queste grandi donne che l’hanno preceduta e dal confronto con le quali si sente perennemente schiacciata, rifugiandosi in un ozio perenne a tratti anche fastidioso.

Red Girl è un libro di donne, in questo periodo di sedicente ricerca della consapevolezza del Girl Power assolutamente da non perdere. Man’yò, Kemari e Toku sono donne fragili e forti al contempo, rivoluzionarie e terribilmente ordinarie nello stesso momento… Tutte e tre in balia di qualcosa che hanno dentro che lotta per uscire.

È un libro che, chiunque ami la cultura nipponica, non potrà non correre a leggere. Ci sono infatti una serie di dettagli che non sono immediatamente fondamentali nell’economia immediata della trama, ma che invece diventano fondamentali nel creare un’atmosfera profondamente giapponese, sospesa tra rituali ancestrali e strepitosa ultima avanguardia tecnologica e sociale.

Ma veniamo a noi: perché parlare di Red Girls in un blog sui sogni? Perché è un libro bellissimo e quindi va fatto conoscere il più possibile, ma anche perché il vero motore della vita delle protagoniste non è altro che la capacità onirica di predizione del futuro di Man’yò: c’è un che di poetico, ma volte anche di orrorifico, in ogni singola visione della protagonista. Immaginate di essere orfani abbandonati da una stirpe ormai considerata quasi estinta e mitica. Siete delle figlie della montagna con grandi capacità di previsione, ma al tempo stesso siete anche delle costanti outsiders, completamente diverse esteticamente da tutti quelli che avete accanto, incapaci di alfabetizzarvi perché totalmente inabili a controllare le visioni che copiose vi scorrono innanzi agli occhi, in uno stato di perenne sogno lucido:

E un’estate, quando aveva dieci anni, vide per la prima volta un uomo volare alto nel cielo. L’uomo non era giovane. Con il senno di poi Man’yò avrebbe pensato che doveva trattarsi di un uomo di mezza età dall’aspetto giovanile, ma per una ragazzina di dieci anni non vi era molta differenza tra un ventenne e un quarantenne.

Comunque fosse, era un uomo adulto e sembrava avere l’aria triste – sempre secondo Man’yō, è ovvio. Indossava abiti dai colori autunnali, era basso di statura e aveva il viso piatto tipico delle popolazioni locali. Aveva un solo occhio a mandorla, nel senso che solo l’occhio sinistro era bene aperto mentre quello destro era così serrato che sembrava essere stato riassorbito dalla pelle. L’uomo fluttuava leggero nel cielo rosa pesco del tramonto. Poi di colpo aveva socchiuso le labbra e aveva biasciato qualcosa. «Ma, n, no, ji…!».

Man’yō pensò che fosse una visione. Se lo trovò davanti al naso mentre tornava da scuola: aveva continuato a frequentarla pur restando analfabeta, e non riuscendo nello studio ed essendo diversa da tutti aveva pochi amici. Quel giorno aveva deciso di tagliare per una scorciatoia e con i suoi capelli lunghi fino ai fianchi smossi al vento si trovava all’incirca a metà della strada principale che portava in cima alla collina Takami. L’uomo fluttuava a pancia in giù con le braccia distese come se stesse precipitando dal cielo, e fissava Man’yō dritta negli occhi guardandola dall’alto. Rimase sospeso nel cielo rosa pesco per qualche minuto prima di venire risucchiato in lontananza e sparire. Man’yō fece per gridargli di aspettare, ma incapace di dire qualsiasi cosa serrò le labbra. Intuì che si trattava di una visione del futuro. Non sapeva che cosa volesse dire, ma per certo quell’uomo con un occhio solo stava volando in cielo e dunque un giorno avrebbe colto il riferimento. Quella sera, dopo aver visto l’uomo con un occhio solo fluttuare a mezz’aria, la piccola Man’yō capì di essere Man’yō la chiaroveggente, una persona insolitamente capace di vedere il futuro. Poi si convinse che presto o tardi avrebbe conosciuto di persona il misterioso uomo con un occhio solo apparso sotto forma di visione quel pomeriggio. Quello fu forse il primo strano amore di Man’yō. Continuò a pensare a lui durante tutto l’autunno, tutto l’inverno e poi tutta la primavera. Decise di chiamarlo Monocchio. Quando calava la sera Man’yō si dirigeva sempre sulla strada principale che portava in cima a Takami nella speranza che le si manifestasse in qualche altra visione. Arrivava in alto e fissava un punto in lontananza, ma la visione non comparve più. Monocchio prese residenza nel suo cuore e tornò a farle visita come uomo in carne e ossa dieci autunni dopo quel fatidico pomeriggio. Ma sarebbero trascorsi ancora molti altri anni prima che tornasse a volare nella stessa maniera in cui Man’yō lo aveva visto”.

Di sogni/visioni ancora più belli il libro è pieno… Ma, sfortunatamente, qualsiasi parola in più sarebbe un torto al piacere della lettura.

Andate a leggere Red Girls e sognate con Man’yò.

 

                                     Margherita Battistini