SOGNARE è EMOZIONARSI
Sulle funzioni del sogno sono state formulate molte ipotesi (di tipo neurobiologico, psicologico, evoluzionistico e psicoanalitico), ognuna delle quali offre prospettive interessanti e va a formare un articolato mosaico del mondo onirico. Una dimensione centrale dell’esperienza onirica, trattata da tutti gli approcci e un aspetto soggettivamente sperimentato ogni volta che ci si ricorda vividamente un sogno, è quella legata alle emozioni.
Stanghellini (2009) definisce le emozioni come dei dispositivi antropologici che ci mettono in relazione con la realtà, una bussola dell’esistenza che ci permette in primo luogo di sopravvivere e quindi, poi, di vivere. In particolare, le emozioni circoscrivono la possibilità di azione (anche nel senso che rendono prioritario un obiettivo tra molti), ci tengono agganciati alla realtà (permettendoci di inerire al mondo), sono il medium che consente la sintonizzazione con gli altri – attraverso processi empatici e di rispecchiamento – e svolgono un cruciale ruolo mediatore nel processo di conoscenza di sé.
Senza le emozioni a segnalarci i bisogni e ad allertare di eventuali pericoli, saremmo persi, disincarnati. Eppure, la nostra cultura non tiene in gran conto le emozioni. La disconnessione collettiva dalla Cultura delle Emozioni è gravida di conseguenze, osservabili sia nella privatezza dell’esperienza soggettiva, sia nell’ambito delle relazioni e in senso più ampio nella società. Una conseguenza riscontrabile in tutti questi ambiti esistenziali è la mancanza di autenticità, intesa non come dovere morale nei confronti dell’Altro, ma come possibilità di sperimentarsi nella propria interezza e complessità in un dato momento, dimensioni mai prive di paradossi, di vulnerabilità, di timori ma anche di occasioni di apprendimento e di un senso vivificante di esserci.
Le emozioni sono definite come risposte relativamente brevi, perché insorgono, hanno degli effetti e poi si attenuano fino a concludersi, ma sono processi complessi e non di rado sfumano nella dimensione degli affetti, considerati degli stati soggettivi senza limitazione temporale, che danno una certa tonalità al nostro modo di esserci, un certo colore, se vogliamo. Se la processualità dell’esperienza emotiva non ha modo di compiersi, non raggiunge l’obiettivo dell’azione che sollecita – ovvero non ha sulla realtà interna ed esterna l’impatto trasformativo cui è finalizzata – allora qualcosa rimane sospeso, in attesa di concludersi per avere un senso. Cosa fa il sogno? Il sogno mette in campo scenari emotigeni (ossia capaci di generare emozioni), consentendo al processo – interrotto, eccessivamente sottoregolato, deattivato o non sufficientemente riconosciuto in stato di veglia – di compiersi. Il sogno è un incubatore e uno spazio di dispiegamento dell’esperienza emotiva. Riattualizzando l’emozione che ha caratterizzato una certa esperienza, consente di digerirla e di apprendere (Bion) da essa nuove conoscenze su noi stessi e sulla relazione con l’Altro e con la realtà.
Diversi approcci psicoterapeutici lavorano specificatamente sullo sviluppo e sul miglioramento delle capacità di regolazione emotiva, un costrutto che fa riferimento alle azioni intraprese per influenzare l’emozione in corso e/o modularne l’espressione. Per quanto i processi di regolazione emotiva siano perlopiù inconsci e impliciti, è infatti possibile prenderne parte attivamente e coscientemente. Tra le strategie di regolazione delle emozioni, l’accettazione e la validazione dell’emozione si dimostrano efficaci nel contattare, interpretare e regolare le emozioni, come sostenuto dall’Emotional Schema Therapy (Leahy) un approccio cognitivo comportamentale focalizzato sulla regolazione emozionale. Spesso, tuttavia, non avendo ricevuto un’educazione emotiva, potremmo essere privi di una conoscenza di base che ci permetta di riconosce le emozioni, di distinguerle, nominarle e comprenderne, anche coscientemente, le funzioni specifiche di ognuna di esse. Abbiamo bisogno di valorizzare il ruolo evolutivo ed evoluzionistico delle emozioni per avere il coraggio di contattarle e integrarle in modo funzionale.
I processi di regolazione emozionale e la conoscenza incarnata delle emozioni si manifestano anche nel pensiero onirico. Potremmo dire che il sognare si configura (anche) come un dispositivo fisiologico di regolazione emozionale che ci permette di riconquistare un’omeostasi interna e di dare senso all’esperienza, anche se non ricordiamo il sogno o, pur ricordandolo, ci sembra di non capirci nulla. È in questa cornice che sento che un approccio utile al sogno richiede di coltivare in se stessi e nelle interazioni una Cultura delle Emozioni.
Il sogno e l’arte ci mostrano chiaramente quanto le emozioni non siano solo, o principalmente, delle esperienze verbalizzate e verbalizzabili; ci sono stati interni e vissuti che possono essere meglio rappresentati da un’immagine, da una musica, da un movimento. Nel sogno si esprime l’artista che è in noi e il sogno è un orchestrarsi di immagini e corpo vissuto, di dinamicità. Secondo Carotenuto “sono le immagini a consentire all’essere umano di creare nuove verità, di modificare la propria esistenza con la loro forza numinosa e di concretizzare nel suo presente ciò che esse lasciano intravedere. […] La capacità di immaginare – o desiderare – allarga il nostro orizzonte psicologico e l’essere umano si riconosce per ciò che immagina o desidera”. Con queste ultime parole in particolare, nell’“essere riconosciuti per ciò che si immagina o si desidera” c’è anche un riferimento al tema dell’identità. I sogni lavorano molto su questo aspetto, mostrando quanto l’identità sia un processo dinamico e non una struttura fissa o stabile; il sognare concorre al continuo rimodellamento dei processi identitari, al ripristinarsi del Sé che prende nuove forme nel tentativo di integrare l’Alterità che l’esperienza del vivere mette in evidenza, nel mondo interno e interpersonale.
Per tante ragioni, di cui ne sono state esposte solo alcune, sognare è necessario. Ma non sogniamo solo di notte, mentre dormiamo. Come sostenuto sia da Bion che da Jung, due grandi autori che hanno ampiamente trattato la dimensione del sogno, si sogna anche di giorno. L’espressione del sognare diurno sembra meno radicale, evidente o impattante rispetto a quella notturna; tuttavia, è parte costitutiva dell’esser-ci, influenza significativamente altri pensieri e processi di veglia e confluisce nei sogni notturni. Ecco perché le immagini – e i pensieri ad esse associati – che ci attraversano o che albergano in noi sono dotati di significatività e andrebbero viste come parte di un continuum e non come eventi separati, casuali. Le relazioni di senso esistono sempre e sta all’individuo cercarle, vederle e percorrerle. Il sogno ci mostra queste relazioni e ci aiuta a comprenderne il valore.
L’invito è dunque di prestare lo sguardo, di avere cura delle immagini della notte e del giorno: di portarle con sé, di interrogarle e di osservarle in relazione tra loro, per ascoltare il discorso di Psiche, il discorso dell’Anima che sempre è intessuto sotto e oltre il rumore del mondo.
Marta Giovannini
Fonti
Psicologia del patologico, Giovanni Stanghellini e Mario Rossi Monti, Cortina Raffaello, 2009.
I sotterranei dell’anima, Aldo Carotenuto, Bompiani, 2001.