Social Dreaming Donne che sognano: riflessioni sull’esperienza
Le seguenti riflessioni si sono generate nel fertile contesto degli scambi con Chiara Allari che hanno seguito ciascun incontro del ciclo e in una serie di punti sono da intendersi come riflessioni congiunte.
Il ciclo di incontri Social Dreaming Donne che sognano nasce dal bisogno di creare uno spazio e un tempo dedicato all’esplorazione e al contatto con l’immaginario, la sensibilità e i contenuti che abitano i sogni delle donne, in un contesto di condivisione libero e generatore di nuovi pensieri. L’opportunità di sognare e pensare con altre donne è un modo per occuparsi del mondo del Femminile, tanto dei suoi bisogni e delle sue istanze quanto delle risorse che mette a disposizione nella comunità.
Abitare le soglie: tessere relazioni tra il pensiero onirico e quello di veglia
Gordon Lawrence, ideatore della tecnica del Social Dreaming, sostiene che “per gli esseri umani la relazione critica è quella tra le dimensioni conscia e inconscia della mente. La separazione artificiale tra di esse, aggrava la scissione fatale tra razionalità e irrazionalità, pensiero e sentimento, bene e male, sacro e profano”.
Dare voce ai sogni è un modo per conoscersi e conoscere, è una pratica millenaria all’interno di diverse culture tradizionali che trovano necessario operare – quotidianamente – una “riconciliazione degli eventi e delle informazioni del mondo del sogno con gli eventi e le informazioni del mondo di veglia” (Pascoe, 2010), aspetti di una stessa realtà che ci informa e di cui siamo parte ed espressione.
Il dispositivo del Social Dreaming, favorendo l’emersione delle immagini che popolano i nostri sogni e delle associazioni che derivano dall’incontro con questa materia prima, consente di mettere in luce un reticolo di significati e di sensi che uniscono il pensiero di sogno e quello di veglia e di ritrovare così una continuità nel modo di vivere e rappresentare la nostra esperienza della realtà. Una realtà che cessa, appunto, di apparire dicotomica quando queste due modalità di pensiero hanno modo di essere valorizzate nel loro lavorare sinergico. Volgendo lo sguardo (la cura, etimologicamente parlando) sulle produzioni oniriche e sulla loro arricchente azione sulla coscienza di veglia, si favorisce un lavoro di tessitura di relazioni e di significati personali e collettivi che supporta la capacità di tollerare la realtà, di rappresentarla nei suoi aspetti polarizzati e polarizzanti e di ritrovare connessioni presenti ma invisibili, se non illuminate da un pensiero che le accoglie e dà loro voce e che si lascia da esse trasformare e rinnovare.
L’immagine del tessere, dell’intrecciare fili e quindi di unire elementi discreti per ottenere una struttura nuova e complessa, riconduce alla relazione tra l’ordito e la trama: il primo è l’“insieme di fili verticali attraverso cui la spola fa passare i fili della trama”; la trama, che deriva dal concetto di “passare oltre, al di là”, è il “complesso dei fili che vengono fatti passare tra i fili dell’ordito ad angolo retto, per formare un tessuto”. Questo combinarsi di intrecci sulla linea verticale e orizzontale dà luogo a diversi tipi di prodotti, concreti e metaforici: un tessuto, un disegno (un’immagine), una storia. Potremmo allora immaginare che nel Social Dreaming i sogni costituiscano l’ordito, le associazioni siano la trama (il pensiero che “passando oltre” unisce) e il tessuto sia il disegno, la storia o i pensieri nuovi che emergono da questo lavoro di unione fatto di differenze.
L’immagine del tessere, del filare e quella del tessuto hanno animato le associazioni conclusive della matrice del primo dei quattro incontri del ciclo Donne che sognano. Questo lavorare per comporre si è connotato di una valenza temporale particolare, legata alla pazienza (paziente è chi “sopporta, tollera”), all’attesa e al saper attendere: una posizione che implica uno sguardo al futuro, al tempo che verrà, unito alla conoscenza e alla memoria del passato e della fenomenologia della ciclicità. La capacità di avere un doppio sguardo – come nel Giano bifronte – e di abitare le soglie, è favorita dall’osservazione della Natura e dallo stesso vivere; quando è attivamente coltivata, ci può aiutare ad avere fiducia nel Divenire e a tollerare tutti quei tempi indipendenti dall’umana volontà, a pensarli come necessari, non riducibili né controllabili. Una partecipante ha detto “Il roveto ha bisogno di molti anni per trasformarsi in roseto”; un’altra donna ha osservato che “La parola natura è un participio futuro” (letteralmente “ciò che è sul punto di nascere” dal verbo latino nasci, da cui il nostro nascere). Il fattore tempo, declinato sul piano individuale e sociale, è una dimensione fondamentale dell’essere-nel-mondo e può assumere sfumature molto diverse che hanno un impatto significativo sulla percezione della realtà. Considerando gli aspetti conclusivi della prima matrice, è interessante notare che il primo sogno condiviso iniziava con il bisogno di trovare uno spazio in agenda, un motivo legato alla compressione del tempo, condizione tipica dei nostri tempi che instaura una dinamica tutta particolare con il tema del respiro.
I processi di costruzione (tessere), l’immagine della generatività – intesa anche come creatività – e della continuità tra le generazioni hanno fornito l’architettura di uno spazio collettivo, costruito e ricostruito insieme anche negli incontri successivi. In questo spazio si sono dispiegate le dimensioni dell’accoglienza, dell’apertura e dell’esplorazione coraggiosa dei moti ondosi delle emozioni, degli effetti dei ricordi, della forza irruente dei timori e delle angosce e della potenza dei legami umani.
L’esperienza del respirare insieme
Nelle diverse matrici del ciclo l’esperienza dell’angoscia è stata condivisa, attraversata, affrontata e tollerata; la sensazione è che l’averla espressa ed accolta abbia permesso un’elaborazione potenziata dal collettivo, un processo catartico che ha portato al generarsi di immagini vitali. Sostenendo la complessa posizione dell’angoscia – che è costrizione del respiro e “isolamento dal futuro” (Stanghellini, 2009) – abbiamo avuto la possibilità di tornare a respirare, forse in modo più profondo rispetto a prima. Una partecipante ha osservato che “abbiamo fatto un lavoro simile al movimento del diaframma, come se avessimo respirato delle cose, un movimento come quello delle lenzuola mosse dall’aria”. Nell’immagine organica del respiro è espressa la natura stessa della Psiche, la condizione di essere animati, di essere vivi. La mia sensazione è stata proprio questa; respirare l’angoscia e sperimentarmi respirare nell’angoscia è stata una prova e al contempo un allenamento, favorito e ritmato dalla presenza di altre donne che hanno avuto fiducia nel processo della matrice e quindi, prima ancora, nei propri corpi, nei propri cuori e nella umana capacità di attraversare il dolore e includerlo nell’esperienza stessa del vivere.
Nel respirare tanta complessità e ricchezza si sono articolati temi diversi che hanno dato vita ad arazzi variegati capaci di narrare un’epopea personale e collettiva, in un trittico che Chiara Allari ha intitolato “Angoscia, Coraggio, Consapevolezza”. Queste tre immagini racchiudono le coordinate di un percorso che abbiamo attraversato e da cui siamo state attraversate. Nei territori in cui ci siamo mosse abbiamo sperimentato i moti di trasformazione, la ricerca dell’identità, i legami umani come fili che tengono insieme famiglie e generazioni e l’umanità come fattore che ci tiene insieme al di là delle differenze di genere, di origini, di status e di ruolo. Siamo state animate da molteplici emozioni ed esperienze, ne cito solo alcune: l’amore per la propria madre, l’amore di una madre per i propri figli e l’istinto di proteggere la vita che germoglia; il bisogno di piangere e ricordare chi è non c’è più, di non dimenticare le radici e la terra, negli aspetti concreti e metaforici; la necessità di urlare e di denunciare, di salvare e salvarsi.
Raccontare i propri sogni, fare associazioni, stare con il portato di emozioni che ne deriva e poi ancora riflettere sull’esperienza della matrice, ha generato – nel complesso – un’esperienza positiva, di mutuo sostegno, di forza e di condivisione benefica, stando alle restituzioni delle partecipanti e alle nostre personali impressioni.
Riflessioni personali
A livello personale mi sono chiesta, a posteriori, a quali miei diversi bisogni questa esperienza sia riuscita a dare una o più risposte. L’idea di proporre questa iniziativa è partita da Chiara, che ringrazio per tanti motivi; ragioni che potrebbero essere riassunte, ma non esaurite, nella sua disponibilità a stare con quello che c’è e a parteciparvi appieno, con una forza delicata e solida che funge da insegnamento e conforto al contempo. Il motore che ha sospinto il lavoro fatto insieme era un’esigenza, mista ad entusiasmo, di creare uno spazio ad hoc per le donne e il Femminile utilizzando il Social Dreaming, nella formulazione operata dal gruppo Uso Sociale del Sogno di Ariele, che inserisce, fra l’altro, il momento del dialogo riflessivo come estensione naturale del processo della matrice e come occasione per riflettere insieme sull’esperienza e sui nuovi pensieri. Ci siamo immaginate che in questo contesto potesse fiorire una ricchezza tutta particolare, un’esperienza fatta di cuori pensanti, di corporeità, di emozioni e di coraggio; elementi di cui abbiamo effettivamente sperimentato tutta la potenza e il potenziale nel corso di ogni incontro.
Come host alle prime armi sento che questa esperienza ha risposto a molteplici bisogni personali che si intrecciano con la dimensione relazionale e sociale: i bisogni di interazione e di relazione, quelli di scambio umano e l’esigenza di confrontarsi sulle realtà che sperimentiamo per co-costruire significati e sensi di cui poter disporre. Il tutto mediato da una pratica che dà così tanto rilievo e consistenza epistemica alle immagini interiori della notte da utilizzarle come carburante per i processi di pensiero e la loro condivisione. Da qui per me sono derivati i benefici effetti di supporto, di forza e di empatia: dall’essere insieme nel pensare il mondo a partire da un linguaggio e un pensiero simmetrico (quello onirico, così come descritto da Matte Blanco), e dalla sensazione di essere – per un dato tempo – un tutt’uno con il mondo, condizione caratteristica di tale simmetria. E, non in ultimo, questi incontri hanno risposto al bisogno di essere parte di una cultura capace di stare con quelle immagini che appartengono al fondo della realtà, di ciascuno di noi e dell’umanità come specie. Mi torna in mente l’evocativo titolo del ciclo di incontri di Social Dreaming del gruppo Uso Sociale del Sogno del 2021: “Il coraggio di Sognare”.
La condivisione dei sogni e la socializzazione sui sogni
La letteratura sul sogno sottolinea il valore della condivisione delle immagini e delle storie oniriche, all’interno dei rapporti familiari, amicali, nei gruppi ma anche a livello comunitario. Secondo la Teoria dell’Empatia del Sogno (Blagrove et al., 2019), la condivisione dei sogni svolge una funzione evolutiva sociale significativa perché promuove empatia tra gli individui e consolida i legami. I sogni e la loro condivisione, sostengono gli autori, potrebbero aver contribuito allo sviluppo della capacità di narrazione e ai comportamenti che fanno sperimentare empatia, favorendo gli scambi sociali positivi. Condividere i sogni, dunque, può promuovere il senso di vicinanza e di comunità, qualcosa di cui abbiamo estremamente bisogno.
Nella pratica della condivisione dei sogni le donne sembrano essere naturalmente competenti e avere un ruolo significativo nel processo di socializzazione sui sogni dei figli. Lo studio di Olsen et al. (2013) ha confermato i risultati di precedenti studi e metanalisi secondo cui sono le donne ad attribuire maggiore salienza ai sogni, a ricordarli più frequentemente, a ricordarne un numero maggiore e a raccontarli più spesso agli altri significativi. Lo studio di Bachner e colleghi (2012) ha riscontrato che il ruolo e il comportamento materno nei confronti dei sogni (raccontare i propri sogni/chiedere ai figli di raccontarli) plasma l’atteggiamento e il comportamento dei figli in età adulta nei confronti dei sogni. La “socializzazione asimmetrica sui sogni” (essere interrogati sui sogni, ascoltare i sogni di un’altra persona) tra donne e uomini potrebbe essere sia il risultato di un più ampio e generale processo di socializzazione onirica, sia, potenzialmente, di una differenza nel corredo genetico (Olsen et al., 2013). Un’altra differenza di genere che è stata riscontrata è che le donne tendono a raccontare più di frequente i sogni al partner, agli amici, a parenti e ai figli, mentre gli uomini prediligono una condivisione esclusiva dei sogni con la propria partner.
Ringraziamo le donne che hanno fatto parte della prima edizione di Donne che sognano e ci auguriamo che questa esperienza possa rappresentare anche un’occasione per continuare a dare importanza e ascolto ai propri sogni.
Noi desideriamo continuare a dare spazio a questa pratica e cultura e riproporremo volentieri l’iniziativa.
Marta Giovannini
Fonti
1. Pascoe, F. N. (2010). Shared dreaming and communication within intimate human relationships. Institute of Transpersonal Psychology.
2. Ordito, etimologia e significato – Una parola al giorno
4. Trama: Definizione e significato di trama – Dizionario italiano – Corriere.it
6. “Angoscia deriva dal latino angustia da angere, stringere, soffocare, che ha la stessa radice del tedesco angst che vale lo stesso (cfr. angere). L’angoscia è la sensazione dolorosa di stringimento dell’epigastrio, accompagnata da gran difficoltà di respiro e da profonda tristezza; affanno, molestia, dolore che quasi preme il cuore.” Fonte: Etimologia : angoscia;
7. Blagrove, M., Hale, S., Lockheart, J., Carr, M., Jones, A., & Valli, K. (2019). Testing the empathy theory of dreaming: The relationships between dream sharing and trait and state empathy. Frontiers in psychology, 10, 1351.
8. Olsen, M. R., Schredl, M., & Carlsson, I. (2013). Sharing dreams: Frequency, motivations, and relationship intimacy. Dreaming, 23(4), 245–255.