L’Innamorato. Percorso musicale con i Maggiori
L’innamorato in musica
L’amoureux, o The Lovers nel mazzo Rider-Waite, era originariamente denominato L’amore: in alto vi compare infatti, chiarissima, l’immagine di Cupido intento a colpire con il suo dardo il giovane al centro della scena, affiancato da due figure femminili che tradizionalmente rimandano alla scelta tra virtù e vizio, tra passione e legge morale.
E’ interessante osservare che lungo il cammino dei 22 arcani come proposto dal maestro cartaio Camoin, disposti in 3 file di 7 carte con Le Mat collocato al di fuori all’inizio del percorso, l’Innamorato si trova, insieme a le Chariot con il quale ha in comune diversi aspetti simbolici riguardo il dominio sulle passioni, a conclusione del primo livello dell’itinerario – la cui meta sarà Le Monde – prima della svolta verso la Giustizia; dopo gli insegnamenti del Mago, della Papessa e della coppia imperiale sembra essere dunque il decisivo momento della scelta tra il bene e il male.
E’ in tale contesto valoriale, brevemente riepilogato, che proponiamo l’associazione musicale di questa tappa del viaggio tra gli arcani, prendendo questa volta in considerazione un noto personaggio del mondo della lirica al quale diversi compositori e librettisti hanno dedicato le loro opere ma che è stato consegnato alla fama immortale dalla musica di Mozart su libretto di Lorenzo da Ponte: Don Giovanni, nel dramma giocoso del 1787 intitolato appunto Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni.
Chi è Don Giovanni? Le origini del personaggio sono da ricercarsi nella commedia El Burlador de Sevilla y convidado de piedra (L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, 1630 circa) del drammaturgo spagnolo Tirso de Molina, ripresa in seguito dai massimi autori di teatro di ogni tempo, quali Molière, Goldoni, Puskin e Byron: in quest’opera è descritto come un nobile cavaliere, accompagnato dal servo Leporello, instancabile seduttore di donne di ogni età e condizione sociale, che a causa delle sue innumerevoli avventure licenziose e dei suoi delitti attira su di sé la vendetta delle sue vittime e la rovina, fino ad essere sprofondato nell’inferno; all’inizio dell’opera, introdotti nell’azione in medias res, lo troviamo infatti mentre, dopo un tentativo di violenza, fugge nottetempo dalle stanze di Donna Anna e sorpreso dal Commendatore del luogo – padre di lei – finisce per ferirlo a morte, macchiandosi di un ulteriore crimine. Nel finale il defunto, nella forma di una statua animata, tornerà dall’oltretomba e comparirà dinnanzi al protagonista che rifiutando il pentimento verrà condannato alla dannazione eterna.
Nel corso delle varie epoche e delle numerose rappresentazioni teatrali e letterarie (oltre agli autori già citati ricordiamo anche Baudelaire, Flaubert, Hoffmann, Pirandello) Don Giovanni ha rappresentato un mito, un archetipo, un simbolo universale dell’individuo che sfida le leggi divine e le norme sociali, della incoercibile forza e potenza vitale che necessita di confrontarsi con i propri limiti e le strutture etiche, della natura complessa del desiderio e della libertà umani: si potrebbe dire, in riferimento alla scena rappresentata dall’arcano VI, di colui che ineluttabilmente è chiamato a scegliere e che a tale scelta in ultimo non può sottrarsi. A questo proposito nella sua opera Aut-aut (1843) il filosofo danese Kierkegaard, iniziatore della corrente esistenzialista, nell’ambito della sua visione circa i tre stadi dell’esistenza (estetico, etico, religioso) elegge Don Giovanni a rappresentante dello stadio estetico della vita, basato sul piacere effimero, sull’attimo e sulla finitezza delle cose, e afferma che la musica è il solo mezzo artistico capace di rendere nella maniera più efficace la sensualità erotica e l’inafferrabilità espresse dal personaggio, in quanto linguaggio immediato e che ha bisogno di essere ricreato di volta in volta: “…Don Giovanni non deve essere visto, ma ascoltato!”.
A rendere l’opera un classico del patrimonio culturale vi è inoltre la straordinaria, sfaccettata fusione di registri diversi, dal tragico al comico, dal sublime al grossolano, che la musica riesce a tenere miracolosamente assieme e che consente di guardare al protagonista come ad un simbolo portatore di volta in volta di considerazioni nuove e di questioni e dispute, come quella amorosa-erotica, mai del tutto esaurite e risolte dall’uomo. Il Don Giovanni, allora, che rappresenta la spiritualizzazione della sensualità – il demoniaco sensuale, afferma Kierkegaard – e la genialità sensuale, espressa appunto dalla musica mozartiana, che seduce in forza del suo inesauribile, traboccante desiderare e che di tale desiderio finisce egli stesso vittima, si presta a rappresentare da una parte l’assillo della scelta – il passaggio dallo stadio estetico allo stadio etico coincide proprio con l’assunzione della propria responsabilità e del dovere: da seduttore a marito – dall’altra l’eterna tragicommedia degli amanti, posti di fronte alla sfida del tempo che inesorabilmente consuma la passione e obbligati a misurarsi con le norme etico-sociali che regolano i limiti del loro agire. Li ritroviamo nella raffigurazione del mazzo Rider-Waite, in cui addirittura sono rappresentati come la coppia primordiale del giardino dell’Eden, dal quale, come è ben noto, saranno scacciati e puniti con la morte in conseguenza della loro trasgressione alla legge divina: e tuttavia da ogni nuova coppia umana, in virtù della misteriosa potenza di Eros/Amore, rinasce ogni volta la vita e una nuova anima compie il suo debutto sul grande palcoscenico del mondo.
Un momento emblematico dell’azione di Don Giovanni, e l’aria più celebre dell’opera, è il duetto (Atto I, scena 9) con Zerlina, una giovane contadina appena andata in sposa a Masetto, che il cavaliere incontra durante la sua festa di nozze e che ciò nonostante non esita a sedurre: rimasto solo con lei con uno stratagemma, intona le famose parole che danno il titolo al brano, Là ci darem la mano / là mi dirai di si…
L’atmosfera è resa dalla soavità e dall’equilibrio della scrittura mozartiana, nel dialogo bilanciato delle voci del baritono (Don Giovanni) e soprano (Zerlina) che poggiano su un accompagnamento dal battito regolare e dai brevi interventi dell’orchestra che sottolineano i sentimenti dei due personaggi, evidenziando i punti di tensione delle parole, in una vocalità che appare semplice ma sempre espressiva e aggraziata, tipica dello stile del genio salisburghese. Un cambiamento del tempo, che si fa vivace, caratterizza il finale dell’aria, sulle parole, ora cantate dai due assieme
“Andiam andiam mio bene / a ristorar le pene / d’un innocente amor”
Qui è chiara anche la trasfigurazione, come in un incanto, compiuta dalla musica: anche se per un solo attimo (subito dopo ad interrompere l’idillio comparirà in scena un’altra donna precedentemente sedotta e abbandonata dal burlador di Siviglia: Donna Elvira) l’amore dei due innamorati è detto essere innocente e gli amanti, vinti da una passione che li trascende, non avrebbero che la colpa di voler alleviare le sofferenze d’amore causate in loro dalle frecce di Eros; con questa riflessione, che mostra come l’archetipo del Don Giovanni è posto sotto diverse luci cangianti, possiamo allora pensare anche alla complessità dell’arcano VI, una carta tutt’altro che semplice, che esprime significati molteplici, dalla vita emozionale e affettiva all’amicizia, dal piacere alla separazione, dal triangolo amoroso alla scelta di un legame consapevole.
Numerosissimi gli allestimenti, le produzioni e le incisioni dell’opera: da parte nostra proponiamo una rappresentazione andata in scena nel 1997 presso il Teatro Comunale di Ferrara, sotto la sapiente direzione di Claudio Abbado (già distintosi come direttore presso le maggiori istituzioni musicali del tempo: La Scala di Milano, l’orchestra di stato di Vienna, il Metropolitan Opera di New York, direttore artistico del festival di Salisburgo) alla guida della Chamber Orchestra of Europe. Nel ruolo di Don Giovanni il baritono inglese Simon Keenlyside, nei panni di Zerlina il soprano Patrizia Pace.
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Se proviamo, come nelle considerazioni intorno ai precedenti arcani, ad esplorare la costellazione archetipica di ciascuno di essi in ogni suo lato, facendo luce – ci si perdoni il gioco di parole – sulla sua ombra e se con un gran balzo trasferiamo l’arcano avanti di due secoli dalle ambientazioni mozartiane alla contemporaneità della società (post) industriale, in un scenario profondamente mutato, le tematiche dell’eros e dell’amore appaiono oscurate e avvolte dalla crisi antropologica e sociale che ha sconvolto il secolo XX. Mantenendo sempre una prospettiva dal basso, rivolta all’universo delle sottoculture e dei movimenti della popular music, c’è stato un quartetto inglese, tra i moltissimi nella scena post-punk della fine degli anni ’70 del secolo scorso, che ha incarnato tragicamente, con il suicidio del suo giovanissimo leader Ian Curtis, le dense inquietudini della sua generazione: i Joy Division. La scelta che diviene angoscia, la disgregazione e l’alienazione dei rapporti umani, l’impossibilità asfissiante di vivere sentimenti autentici, le ombre della depressione e della catalessi emotiva sono le tematiche che emergono dai loro dischi, fatti di una musica cruda, buia, affilata, glaciale nella squadrata monotonia delle sue ritmiche e caratterizzata dalle cupe propulsioni del basso di Peter Hook, che viveva della capacità di Curtis di mettere in scena in maniera espressionista i propri tormenti, in un fatale connubio tra rappresentazione e vita quotidiana, fino alla morte a soli 23 anni.
Dovette suonare sinistramente profetica allora la pubblicazione, a brevissima distanza dalla scomparsa del cantante nel maggio 1980, del singolo Love will tear us apart, che è rimasto infine il loro brano simbolo e sicuramente uno dei migliori composti: per alcuni persino la canzone che rappresenta la condizione e l’umore di una intera generazione (l’autorevole webzine Pitchfork la colloca tra ai primi posti delle migliori canzoni del decennio ’80). Il titolo del brano, per volontà della moglie Deborah, è stato scelto come epitaffio e inciso sulla lapide di Curtis, posta presso il cimitero di Macclesfield.
Musicalmente la canzone è aperta da un inesorabile crescendo ed è impreziosita da un riff di synth, all’unisono con l’onnipresente basso, al tempo stesso cantabile, ballabile e alienante, come nella migliore tradizione della new wave dell’epoca, su cui si innesta la voce, baritonale, lamentosa e desolata: le linee eteree del sintetizzatore unite al suono ruvido degli strumenti creano, in contrasto, un’atmosfera spettrale e disturbante, mossa e animata però da un regolarissimo beat della batteria e resa ipnotica dalla circolarità a loop del motivo principale. La perturbante sensazione finale è quella di non poter fare a meno di ballare incarcerati in una minuscola gabbia.
Ascoltandola mentre si tiene a mente l’immagine dell’Innamorato si può avere l’idea del vortice di smarrimento in cui cade chi è diviso tra sentimenti opposti; è noto da alcune interviste rilasciate dalla compagna Deborah e da diverse biografie che l’unione dei due, e di conseguenza l’equilibrio mentale di Ian, era stata incrinata dalla relazione del cantante con la giornalista e produttrice musicale Annik Honoré. Il testo delinea, con pochi e scarni versi nello stile tipico di Curtis, la discesa agli inferi della rottura di un amore, con il suo carico di dolore, paranoia, solitudine, senso di fallimento:
“L’abitudine ci divora, il desiderio è basso
e il rancore è alle stelle ma queste emozioni rimarranno dentro
e noi stiamo cambiando e prendendo altre strade
e allora l’amore ci farà a pezzi
l’amore, l’amore ci distruggerà ancora una volta
[…] tu gridi nel sonno, tutti i miei fallimenti mi sono davanti
il sapore della disperazione che mi afferra la gola
qualcosa che era così bello semplicemente non può più funzionare
e allora l’amore ci farà a pezzi
l’amore, l’amore ci distruggerà ancora una volta”.
L’amore si è tramutato da piacere in veleno, la libertà in schiavitù, la pulsione di vita nel suo opposto di morte: l’eros sembra essere avvinto in un indivisibile abbraccio con thanatos. Nel gioco di corrispondenze tra gli arcani è interessante notare come, in riferimento sempre al diagramma Camoin, la sesta colonna raggruppi verticalmente l’Amoureux, il Senza nome e il Giudizio, in una rappresentazione che ricapitola tutti gli i temi su cui ci siamo soffermati: la passione, la morte, anche concepita come catarsi, e la gravità del giudizio finale. Se si guarda invece alle corrisponde numeriche tra i gradi allora il VI richiama il XVI, la maison Dieu, ancora castigo divino ma anche crollo e disfacimento di ambizioni rivelatesi illusorie…then love will tear us apart.
Ascolti:
Claudio Abbado & The Chamber Orchestra of Europe – Don Giovanni; Atto I scena IX duetto Là ci darem la mano (3xCD Deutsche Grammophon, Germany 1998).
Al link troverete recitativo e aria (l’aria vera e propria inizia a 2.03).
Joy Division – Love will tear usa part (7’’ Single, Factory UK 1980)
Bibliografia:
Soren Kierkegaard – Enten eller, tomo primo – Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale erotico (Adelphi, 1976)
Web: www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Dongiovanni.html
Peter Hook – Joy Division, tutta la storia (Tsunami 2014)
Aldo Pavesi
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