Il RAPPORTO dell’UOMO con il DESTINO

Tratto dal testo “Filosofia della Medicina Tradizionale Cinese” di C. Larre, F. Berera, Ed. Jaca Book, pp. 89-108

Il ritorno all’Uno e l’immortalità 

“Il pensiero cinese dei primi secoli a.C. ha descritto la genesi del cosmo come un processo di divisione e specificazione in cui l’Unità primigenia spontaneamente dà vita alla complessità sempre maggiore delle sue manifestazioni. La letteratura classica considera le tappe dello sviluppo dell’universo come una sorta di regressione, un allontanamento dalla perfezione, che si situa nell’origine indifferenziata, vuota, silenziosa: il Tao, inizio, sostegno e termine di tutto ciò che vive tra Cielo e Terra. Compito dell’uomo è far ritorno a ciò che l’ha generato, alla fase originaria del Senza Forma. Secondo la filosofia taoista, il rapporto e il ritorno all’Uno appartiene alla natura propria di ciascuno e determina il suo valore come persona. L’uomo che raggiunge il Tao non è nient’altro che l’uomo vero, l’uomo che vive in verità di sé. Mentre l’uomo comune cerca la propria realizzazione nell’affermazione di sé, nel fare, i maestri taoisti spingono i loro discepoli a conquistare l’”essere”, l’agire conforme al Cielo/Terra. Quando l’uomo vero raggiunge l’unità originale non agisce più direttamente, ma lascia che la natura segua il suo corso, perché la volontà del saggio si identifica completamente con l’ordine del Tao.

“Il Cielo/Terra non vive per se stesso e così sussiste eternamente. I Santi incuranti della loro vita si mantenevano pieni di vita. La loro abnegazione realizzava la loro perfezione”

(Tao, cap. 7)

Il Tao, nel Cielo/Terra, doppia origine dell’uomo, è il centro nel quale egli vive, il luogo a cui farà ritorno, il modello che gli è dato perché, imitandolo, giunga alla pienezza dei suoi giorni. Giorni nello stesso tempo completi, stabili, pieni di vitalità. Vi è per i taoisti una virtù, una disposizione interiore, una capacità di elevarsi spiritualmente che ci viene donata alla nascita e che l’educazione può affinare. Infatti, ogni uomo ha inscritto nella sua natura e nel suo destino, sotto modalità che solo lui può scoprire, quella cosa che non si insegna: l’arte di divenire e di ridivenire se stessi indefinitamente.

Per l’ideale confuciano i talenti e le virtù personali sono il fondamento dell’azione efficace. La Virtù taoista non contraddice questo, ma richiama l’efficacia stessa della Via che porta alla Grande conoscenza che conduce all’Uno. Con continue meditazioni e duri esercizi i seguaci del taoismo cercano di superare la distinzione tra fisico e metafisico e ricercano la Via, per trovare “le porte delle meraviglie” (Tao, cap. 1), l’unità con l’universo.

Il cammino ascetico di ritorno all’Uno conosce vari livelli di distacco dalle persone e dalle cose: dalla capacità di “fare il Vuoto”, all’”Arte del cuore”, al non-agire, che è il vero saper-fare taoista. In questo modo si diventa “Santi” e si raggiunge la longevità, che consiste nel portare a termine i giorni donati a ciascuno dal destino con un sano intrattenimento del principio vitale. La medicina e il medico “santo” aiutano l’uomo in questo suo arduo compito. Anche il concetto di immortalità taoista, che spesso si incontra nella letteratura classica, dipende proprio dalla capacità dell’uomo di ritornare in seno a quell’Uno che è eterno. Resta da domandarsi, beninteso, ciò che può essere l’io di un Santo spogliato dal sé grazie al suo sforzo ascetico.

Lo scopo dell’ascesi taoista, ma anche confuciana, è di far sì che quest’individuo che sono io, spogliato dalle contingenze e dalle accidentalità, divenga uomo supremo, lo Zhen Ren, il Santo che, avendo abbandonato ogni preoccupazione di affermazioni e meriti, è ormai “spogliato di sè”. Si obietterà che un uomo senza di sé non è più un uomo. La tradizione risponde: un uomo spogliato di sé è compagno del Tao. E’ così che la cultura cinese tenta un’ardita conciliazione tra psicologia e mistica.

 

Il concetto di Vuoto 

Per parlare di passaggi che conducono alla santità bisogna introdurre e soffermarsi sul concetto di Vuoto. Infatti per la filosofia taoista il Vuoto è la “chiave” che permette l’accesso ad una comprensione e ad una saggezza che incarnano l’arte di vivere, fondata sui principi di Vuoto del Cuore e non-agire. Il concetto di Vuoto in Occidente dà adito a poche riflessioni: il vuoto è vuoto ed è talora assimilabile al nulla.

Nel pensiero cinese invece il Vuoto è la sede della vita; è un elemento dinamico, condizione senza la quale non si opera alcuna trasformazione. La stessa Pienezza, intesa come realizzazione e compiutezza, non può verificarsi senza il Vuoto, che ne consente lo sviluppo e il dispiegarsi, permettendo agli elementi che compongono un sistema di trasformarsi e di ricomporsi in unità.

Il Vuoto ha quindi un valore funzionale. A livello ontologico, fisico, psichico e spirituale, permette un processo di interiorizzazione e trasformazione grazie al quale ogni elemento, ogni essere, raggiunge se stesso, e coglie il suo Altro da sé.

“il Tao ha per origine il Vuoto. Dal Vuoto è nato il cosmo da cui emana il Soffio Vitale”.

La vita stessa avviene nel Vuoto mediano, spazio tra Cielo e Terra dove si operano lo scambio dei Soffi. Anche lo Yin e lo Yang, per esprimere la loro dinamicità, necessitano del Vuoto. Le coppie Yin/Yang e Pieno/Vuoto sono sempre correlate.

Nel Libro dei Mutamenti, dove non si parla ancora di Yin/Yang, il tratto pieno simboleggia lo yang, mentre il tratto spezzato, che presenta un vuoto tra due linee, simboleggia lo yin. In seno al sistema binario yin/yang, il Vuoto costituisce il terzo termine che è nello stesso tempo separazione, luogo dove avviene la trasformazione, ricongiungimento in unità.

Il Vuoto è quindi il punto nodale, tessuto virtuale e di divenire dove si incontrano la mancanza e la pienezza, il sé e l’Altro da sé.

Dalla vita quotidiana sono tratte alcune delle immagini più comprensibili e più compiute del Vuoto:

“Trenta raggi si congiungono ad un mozzo unico

Questo vuoto nel carro permette l’uso.

Con una zolla d’argilla si dà forma d un vaso

Questo vuoto nel vaso ne permette l’uso

Si dispongono le porte e le finestre per una stanza

Questo vuoto nella stanza permette l’uso

L’avere permette il vantaggio

Il non-avere permette l’uso”

(Tao, cap. 11) 

Nell’universo come nel corpo, senza il Vuoto i Soffi non potrebbero circolare e l’alternanza yin/yang non potrebbe accadere. La rappresentazione simbolica del Vuoto è la Vallata, incavo vuoto che fa nascere tutte le cose; portando tutte le cose nel suo seno, non si esaurisce mai.

“Lo Spirito della Vallata vive per sempre; qui si parla della Femmina misteriosa. La Femmina misteriosa ha un’apertura da cui escono Cielo e Terra. L’impercettibile filo fila indefinitamente: vi si attinge senza mai esaurirlo”

(Tao, cap. 6)

Per i cinesi la buona salute è uno stato di perfetto silenzio in cui non vengono percepite anomalie: solo quando si presentano le malattie ci si accorge che qualcosa non funziona come dovrebbe. Nel Vuoto i Soffi sono così equilibrati, così armonizzati che è come se non ci fossero: i Soffi perfetti non fanno rumore.

Nell’atto medico si incontra la corporeità del paziente, i sintomi, segni esterni di una malessere interiore e nascosto. Il medico, partendo da realtà oggettivabili e da strutture visibili e sperimentabili, raggiunge e interviene sull’essenza stessa della vita, sull’invisibile, e di questo si deve sempre ricordare.

 

Il Vuoto del Cuore” e l’”Arte del Cuore” 

Il Cuore ha nell’uomo la stessa funzione che il Sovrano ha nello Stato. Dal Cuore dipendono ricerca dell’autenticità, felicità o infelicità, salute o malattia, longevità o morte prematura. Secondo il pensiero taoista, per svolgere questo suo compito vitale il Cuore deve essere in uno stato di Vuoto. Tre sono i termini che ricorrono continuamente nei testi classici nel concorrere a mantenere il Vuoto: wu yu, senza desiderio; wu zhi, senza conoscenza; wu wei, senza azione.

Il Cuore deve restare senza desiderio. L’uomo senza desiderio non può vivere. Cosa intendevano allora i taoisti per wu yu? Nel capitolo 1 del Tao Te King si dice che “desiderio e senza desiderio” hanno la stessa origine. Quindi esistono entrambi nel Cuore dell’uomo. Il desiderio è il desiderio naturale, è la vita che vuole vivere. Il senza desiderio è non restare attaccati all’oggetto del desiderio. Il desiderio viene, non lo si asseconda e questo consente ad altri desideri di venire. Allora si desidera e si resta senza desiderio. In questo senso il concetto di Vuoto del Cuore non è qualcosa di statico e di passivo, ma è ben espresso dall’immagine dinamica del fluire di un fiume: l’acqua che scorre permette in uno stesso istante all’acqua che arriva di prendere il posto dell’acqua appena passata; oppure dall’immagine dello specchio che riflette tutte le realtà proprio perché nessuna si fissa sulla sua superficie.

Il Vuoto del Cuore è perciò la condizione per aumentare la nostra percezione cosciente, libera da vizi e da pregiudizi; è quella condizione libera dal passato e dal futuro che ci permette di vivere la pienezza dell’ hic et nunc.

A livello fisico il Vuoto del Cuore è necessario per acquisire e mantenere i Soffi vitali; a livello psichico e spirituale permette la vera conoscenza: “Come può un uomo conoscere il Tao? Grazie al Cuore. Come il Cuore può conoscere? Grazie al Vuoto, perché il Vuoto non dirige verso le impressioni già tesaurizzate, ma verso ciò che deve essere ricevuto” (Xun zi, cap. 21). Ma la vera conoscenza, per i taoisti, consiste nello sbarazzarsi di tutto ciò che non è saper vivere. Al wu wei infatti è spesso associato il wu zhi, senza conoscenza, non sapere. I taoisti rifiutano la falsa conoscenza, che disperde lo spirito e che lo rende sì sapiente, ma di ciò che non è la vita.

L’agire naturale non ha bisogno di spiegazioni e non ha bisogno di essere insegnato: è naturale. E’ una conoscenza senza conoscenze.

Oltre che per la conoscenza il Vuoto è necessario per la presa in carico di persone e situazioni. Sembrerebbe un paradosso, in realtà per la mentalità cinese è un’evidenza: per assumersi responsabilità, per realizzare compiti, per vivere in pienezza è indispensabile il Vuoto del Cuore.

I testi antichi raccomandano di non sovraccaricare il Cuore. Il Cuore si riempie a sua insaputa. Non appena ci si accorge di questa Pienezza, che è sempre deleteria, occorre ricreare una situazione di Vuoto. La vita è una sorgente, la cui forza e la cui limpidezza vanno protette.

L’esteriorizzazione, attraverso il contatto snervante con gli altri, è la principale minaccia per la longevità. Ugualmente l’uso intenso dei sensi va proscritto, perché agita il Cuore (Tao, cap. 12).

Il Cuore dell’uomo, nel primo stadio della sua esistenza, è nella calma più assoluta, esente da ogni desiderio; in questo stadio il Cielo gli dà forma. Presto gli oggetti esterni agiscono su di lui e vi producono diversi movimenti; sono i desideri che si aggiungono alla sua natura primaria. L’uomo, in presenza degli oggetti esterni, ha la facoltà o il desiderio di conoscerli; quando li conosce prova sentimenti d’attrazione per gli uni e di repulsione per gli altri. Se non domina questi sentimenti, si lascia trascinare verso le cose esterne, diventa incapace di rientrare in se stesso e di regolare i movimenti del suo Cuore; perde le buone disposizioni che ha ricevuto dal Cielo.

(Liji, Libro dei Riti)

 

La luce degli Shen permette al Cuore di essere il luogo di origine di ogni reazione e di ogni conoscenza e ne assicura la coerenza e la condotta. Da qui l’importanza di un’”Arte del Cuore”, che consiste nel fare del Cuore un centro che possa ricevere tutti li stimoli, restando aderente alla propria natura, all’Uno, all’universale. In un Cuore calmo e vuoto nulla si attacca sconsideratamente, nulla occupa un posto indebito, nulla blocca, nulla ingombra, ma tutto si presenta ed è ricevuto per essere pesato ed apprezzato.

L’Arte del Cuore permette di coltivare in se stessi ciò che porta al Vuoto del Cuore, di controllare il voler-vivere senza vessare la propria spontaneità, ma mantenendola nel flusso che porta sempre al superamento di sé.

 

Quando si è penetrati dalla dottrina dell’Arte del Cuore, non si rifiutano piaceri e desideri, attrazioni e avversioni, allegria e collera, gioia e amarezza. È la comunione mistica con i Diecimila esseri. Non si conoscono più né approvazione né disapprovazione. Ci si eleva, ci si educa nell’illuminazione mistica, fino al punto che vita e morte si confondono.

(HZ, cap. 1) 

Se l’uomo vive in questo modo il Cuore è protetto e si nutre dei Soffi più puri.

 

Il “non-agire” (wu wei) e il “saper-fare” (zhi)

La pratica del wu yu, il restare senza desiderio, conduce al wu wei, al non-agire, he è uno dei concetti cardine della filosofia taoista. Wu significa non, essere senza, e wei significa agire, ma spesso giunge ad assumere una sfumatura negativa: intervenire, ingerirsi in , forzare; un fare che può turbare, contrariare. Normalmente viene tradotto nelle lingue occidentali come non-agire dove il “non” blocca la negatività precipua del termine wei. Lontano dal significare rinuncia, ritirata, inattività, è la condizione e la forza stessa dell’azione autentica ed efficace. E’ il modo taoista di concepire l’azione.

“Il non-agire non significa restare in uno stato statico, fisso, non muoversi. Con questo termine si vuole semplicemente dire che niente emana dall’Io” (ZH, cap. 9).

Ancora una volta viene sottolineato che l’agire autentico è comunque l’agire di chi è capace di un superamento di sé, dei propri desideri, dei propri istinti e schemi, per arrivare ad un’azione adeguata, efficace nella misura in cui si conforma alle leggi dell’universo, della natura e alla struttura vera degli esseri.

 

“Si verifica il non-agire quando l’intenzione individuale non interferisce con la Via universale, quando i desideri e le tendenze particolari non allontanano dal giusto cammino, quando l’azione opera in funzione di un principio interno celeste di ordine, quando, ottenendo un merito, perché si ha seguito la propria natura, non si glorifica se stessi, attribuendosi una fama personale” (HZ, cap. 19).

Non agire non è quindi non fare, ma agire nello stesso modo della natura e nello stesso senso.

 

Il non-agire è stato applicato dai pensatori taoisti in ogni campo: politico, sociale, culturale e, come vedremo in seguito, medico. Conformarsi al principio interno degli esseri e lasciarsi guidare dalla loro natura sono aspetti del non-agire, inteso come modo di agire non interventista. In campo politico, ad esempio, le leggi sono considerate dai taoisti ostacoli per la natura perché sono del tutto esterne e spesso si impongono ad essa. Da qui l’avversione dei taoisti per i legisti: “Lasciatevi guidare dalla natura degli esseri e l’universo intero vi seguirà; ostacolatela e anche le leggi non saranno di alcuna utilità”.

“In un governo che ha per linea direttrice la Via, le leggi, pur essendo poche, saranno sufficienti a trasformare le cose; in un governo che non è retto dalla Via, le leggi, pur essendo numerose, apporteranno solo caos” (HZ, cap. 19).

 

Il Vuoto del Cuore e il non-agire conducono al saper-fare. Il saper-fare non è altro che un saper-essere. La giusta azione è l’attualizzazione dell’essere e della sua creatività.

Ma proprio perché non ci sono divisioni all’interno della persona, il saper-fare è anche saper mantenere la propria vita, conoscerne le regole, rispettarle, evitare di sperperare e disperdere l’energia vitale, mantenersi in armonia all’interno come all’esterno con tutto ciò che esiste”.