Frankenstein sognato
Frankenstein o Il moderno Prometeo è un romanzo di genere gotico, horror e fantascientifico, scritto dall’autrice Mary Shelley tra il 1816 e il 1817, a soli 19 anni. L’opera è divenuta velocemente parte dell’immaginario collettivo perché nel “mostro protagonista” si rispecchiano le paure universali: la strana creatura, nata da un ardito esperimento scientifico dello scienziato che gli ha dato il nome, è infatti il diverso, lo sconosciuto, l’altro. Ogni umano si sente parte del proprio gruppo di appartenenza (etnico, sociale, nazionale, continentale, etc) e sente chi è diverso da lui come un outgroup ed è naturalmente portato a sentirlo come un pericolo. Questo è quello che succede a questa creatura nata da un collage di cadaveri, spaventosa alla vista, ma ingenua e sostanzialmente buona, impreparata alle difficoltà della vita e alla diffidenza e cattiveria degli altri. Nello specifico dell’800, Frankenstein mostro rappresentava la novità, il progresso che sembrava diabolico e, di rimando, Frankenstein dottore era il pioniere -il moderno Prometeo, per l’appunto- incompreso. Ancora oggi però è possibile sentire il romanzo come attuale in quanto rappresentazione archetipica e quindi applicabile a tutte le ere storiche, del grande scontro tra tradizione e innovazione, con risvolti etici (ieri come oggi, fino a dove la ricerca scientifica può stravolgere la biologia?) ancora oggi interessanti.
Ci sarebbero molti aspetti da sottolineare di questa incredibile opera: è un romanzo epistolare pregno di influenze illustri e di reminiscenze, prima fra tutti quella della figura di Prometeo, inteso sia come il greco titano ribelle che ha donato il fuoco all’umanità, sia come il latino delle Metamorfosi ovidiane, che con la creta plasma l’uomo. Forte a questo proposito è l’influenza di William Godwin, che in Political Justice sostiene che istituzioni come il governo, la legge o il matrimonio, seppur positive, tendano a esercitare forze dispotiche sulla vita della gente e che quindi sia auspicabile un nuovo ordine sociale basato sulla benevolenza universale, contraddicendo la visione seicentesca di Thomas Hobbes di una società essenzialmente egoista. La Creatura, completamente estraniata dalla società, si considera come un demone malefico e chiede giustizia proprio in senso godwiniano: “Do your duty towards me” (“Fa il tuo dovere verso di me”), dice il Mostro a Victor Frankenstein che lo ha messo al mondo, abbandonandolo poi per l’orrore che gli suscitava; Frankenstein rifiuta e il Mostro, come ha promesso in caso di diniego (e come ha già fatto dopo essere stato abbandonato e ripudiato da tutti), si vendicherà uccidendo i suoi amici e la sua famiglia, poi conducendo alla morte lo scienziato stesso; infine si suiciderà però per il rimorso. Non a caso, come epigrafe è posta la citazione di Adamo del Paradiso perduto di John Milton: “Ti ho forse chiesto io, Creatore, di farmi uomo dall’argilla? Ti ho forse chiesto io di trarmi fuori dall’oscurità?”.
Da Locke Frankenstein prende il sensismo: L’essere dichiara così di distinguere “between the operations of his various senses” e nel suo ultimo discorso, al capitano Walton, è dispiaciuto del fatto che non potrà più vedere il sole o le stelle e sentire il vento sulla pelle. La Shelley piega la trama alla teorie lockiane facendo imparare alla creatura lingua, storia e morale dell’uomo origliando le conversazioni dei De Lacey e leggendo il Paradiso perduto, le Vite di Plutarco e il Werther di Goethe.
Da Rousseau viene ripresa l’innocenza del buon selvaggio: il mostro è inizialmente candido e puro, incapace di adeguarsi alle sofisticazioni della società, rifiutato per il suo aspetto mostruoso, ed è solo stando tra la gente e venendo maltrattato che diventa crudele. La Shelley ha perfettamente introiettato la lezione del buon selvaggio rousseauiano.
Si potrebbe continuare all’infinito a parlare di questa opera.. Ma cosa c’entra con i sogni? Ebbene, questo meraviglioso romanzo è nato niente meno che dalla fantasia insonnolita dell’autrice.
Mary Wollstoncraft Godwin (già, la Shelley altro non era che la figlia della prima grande femminista Mary Wollstoncraft e del filosofo William Godwin) diventa Shelley quando ha una relazione (e poi un matrimonio) burrascosa con il poeta Percy Bysshe Shelley. Una sera piovosa del 1816 la coppia si trova a Ginevra con Polidori e con la sorellastra Claire Clairmont quando decidono di scrivere ognuno un racconto di terrore: Mary scrive Frankenstein sulla basa di un incubo spaventoso, nel quale l’autrice assisteva alla nascita della creatura per mano di un giovane studente. Sembra che la Shelley si sia ispirata a suo marito Percy per la realizzazione del personaggio: il nome Victor, infatti, era lo pseudonimo utilizzato da Percy per le sue opere. Percy, come Victor, è un appassionato della scienza (da giovane utilizzava strumentazioni chimiche, specialmente elettriche). Il 22 febbraio 1815 Mary Shelley aveva dato alla luce una bimba prematura di due mesi, Clara, che morì circa due settimane dopo; contrariamente alla madre che era caduta in una profonda depressione, Percy non ebbe a cuore il destino della neonata. Secondo Muriel Spark, nella sua biografia su Shelley, questo tragico evento ricorda molto il momento in cui Victor decide di abbandonare la creatura al proprio destino dopo averla creata.
La figura di Frankenstein si è impressa nell’immaginario collettivo di tutti noi ed è protagonista di tanti racconti, film, cartoni e fumetti. Non vi resta che procurarvi al più presto il romanzo e perdervi nella struggente storia della creatura
Margherita Battistini