Autore: Margherita Battistini

Sogno in Tu, sanguinosa infanzia di Michele Mari

Sogno in Tu, sanguinosa infanzia di Michele Mari

Chi dice che è solo da lucidi che si affrontano i grandi cambiamenti? Conosciamo Michele, autobiografico personaggio dello scrittore Michele Mari nella raccolta di racconti Tu, sanguinosa infanzia. Il protagonista è arrivato ad una svolta della propria vita; presto avrà un figlio ed è il 

Shiva, Signore dei Sogni

Shiva, Signore dei Sogni

  Chi non ha mai sentito parlare di Shiva? Anche per chi non conosce bene le divinità induiste, l’immagine di questo dio è immediatamente riconoscibile. Questi è, insieme a Brahma (il creatore) e a Vishnu (il preservatore), all’interno della Trimurti (figurazione della Trinità, cara alle 

Frankenstein sognato

Frankenstein sognato

Frankenstein o Il moderno Prometeo è un romanzo di genere gotico, horror e fantascientifico, scritto dall’autrice Mary Shelley tra il 1816 e il 1817, a soli 19 anni. L’opera è divenuta velocemente parte dell’immaginario collettivo perché nel “mostro protagonista” si rispecchiano le paure universali: la strana creatura, nata da un ardito esperimento scientifico dello scienziato che gli ha dato il nome, è infatti il diverso, lo sconosciuto, l’altro. Ogni umano si sente parte del proprio gruppo di appartenenza (etnico, sociale, nazionale, continentale, etc) e sente chi è diverso da lui come un outgroup ed è naturalmente portato a sentirlo come un pericolo. Questo è quello che succede a questa creatura nata da un collage di cadaveri, spaventosa alla vista, ma ingenua e sostanzialmente buona, impreparata alle difficoltà della vita e alla diffidenza e cattiveria degli altri. Nello specifico dell’800, Frankenstein mostro rappresentava la novità, il progresso che sembrava diabolico e, di rimando, Frankenstein dottore era il pioniere -il moderno Prometeo, per l’appunto- incompreso. Ancora oggi però è possibile sentire il romanzo come attuale in quanto rappresentazione archetipica e quindi applicabile a tutte le ere storiche, del grande scontro tra tradizione e innovazione, con risvolti etici (ieri come oggi, fino a dove la ricerca scientifica può stravolgere la biologia?) ancora oggi interessanti.

Ci sarebbero molti aspetti da sottolineare di questa incredibile opera: è un romanzo epistolare pregno di influenze illustri e di reminiscenze, prima fra tutti quella della figura di Prometeo, inteso sia come il greco titano ribelle che ha donato il fuoco all’umanità, sia come il latino delle Metamorfosi ovidiane, che con la creta plasma l’uomo. Forte a questo proposito è l’influenza di William Godwin, che in Political Justice sostiene che istituzioni come il governo, la legge o il matrimonio, seppur positive, tendano a esercitare forze dispotiche sulla vita della gente e che quindi sia auspicabile un nuovo ordine sociale basato sulla benevolenza universale, contraddicendo la visione seicentesca di Thomas Hobbes di una società essenzialmente egoista. La Creatura, completamente estraniata dalla società, si considera come un demone malefico e chiede giustizia proprio in senso godwiniano: “Do your duty towards me” (“Fa il tuo dovere verso di me”), dice il Mostro a Victor Frankenstein che lo ha messo al mondo, abbandonandolo poi per l’orrore che gli suscitava; Frankenstein rifiuta e il Mostro, come ha promesso in caso di diniego (e come ha già fatto dopo essere stato abbandonato e ripudiato da tutti), si vendicherà uccidendo i suoi amici e la sua famiglia, poi conducendo alla morte lo scienziato stesso; infine si suiciderà però per il rimorso. Non a caso, come epigrafe è posta la citazione di Adamo del Paradiso perduto di John Milton: “Ti ho forse chiesto io, Creatore, di farmi uomo dall’argilla? Ti ho forse chiesto io di trarmi fuori dall’oscurità?”.

Da Locke Frankenstein prende il sensismo: L’essere dichiara così di distinguere “between the operations of his various senses” e nel suo ultimo discorso, al capitano Walton, è dispiaciuto del fatto che non potrà più vedere il sole o le stelle e sentire il vento sulla pelle. La Shelley piega la trama alla teorie lockiane facendo imparare alla creatura lingua, storia e morale dell’uomo origliando le conversazioni dei De Lacey e leggendo il Paradiso perduto, le Vite di Plutarco e il Werther di Goethe.

Da Rousseau viene ripresa l’innocenza del buon selvaggio: il mostro è inizialmente candido e puro, incapace di adeguarsi alle sofisticazioni della società, rifiutato per il suo aspetto mostruoso, ed è solo stando tra la gente e venendo maltrattato che diventa crudele. La Shelley ha perfettamente introiettato la lezione del buon selvaggio rousseauiano.

Si potrebbe continuare all’infinito a parlare di questa opera.. Ma cosa c’entra con i sogni? Ebbene, questo meraviglioso romanzo è nato niente meno che dalla fantasia insonnolita dell’autrice.

Mary Wollstoncraft Godwin (già, la Shelley altro non era che la figlia della prima grande femminista Mary Wollstoncraft e del filosofo William Godwin) diventa Shelley quando ha una relazione (e poi un matrimonio) burrascosa con il poeta Percy Bysshe Shelley. Una sera piovosa del 1816 la coppia si trova a Ginevra con Polidori e con la sorellastra Claire Clairmont quando decidono di scrivere ognuno un racconto di terrore: Mary scrive Frankenstein sulla basa di un incubo spaventoso, nel quale l’autrice assisteva alla nascita della creatura per mano di un giovane studente. Sembra che la Shelley si sia ispirata a suo marito Percy per la realizzazione del personaggio: il nome Victor, infatti, era lo pseudonimo utilizzato da Percy per le sue opere. Percy, come Victor, è un appassionato della scienza (da giovane utilizzava strumentazioni chimiche, specialmente elettriche). Il 22 febbraio 1815 Mary Shelley aveva dato alla luce una bimba prematura di due mesi, Clara, che morì circa due settimane dopo; contrariamente alla madre che era caduta in una profonda depressione, Percy non ebbe a cuore il destino della neonata. Secondo Muriel Spark, nella sua biografia su Shelley, questo tragico evento ricorda molto il momento in cui Victor decide di abbandonare la creatura al proprio destino dopo averla creata.

La figura di Frankenstein si è impressa nell’immaginario collettivo di tutti noi ed è protagonista di tanti racconti, film, cartoni e fumetti. Non vi resta che procurarvi al più presto il romanzo e perdervi nella struggente storia della creatura

Margherita Battistini

Il sogno del prigioniero di Montale

Il sogno del prigioniero di Montale

Il sogno del prigioniero Albe e notti qui variano per pochi segni. Il zigzag degli storni sui battifredi nei giorni di battaglia, mie sole ali, un filo d’aria polare, l’occhio del capoguardia dello spioncino, crac di noci schiacciate, un oleoso sfrigolio dalle cave, girarrosti veri 

Visioni oniriche in Giappone: Red Girls di Sakuraba Kazuki

Visioni oniriche in Giappone: Red Girls di Sakuraba Kazuki

Oggi vi consiglio il primo romanzo approdato in Italia della scrittrice nipponica Sakuraba Kazuki, famosa all’estero per tutti i premi vinti e per la sua fama di vorace lettrice- per sua stessa ammissione circa 400 libri all’anno!-. Il romanzo in questione è Red Girls, pubblicato 

Vita Onirica di Michelangelo Buonarroti

Vita Onirica di Michelangelo Buonarroti

Stasera pensavo a Ergo Proxy. Che cosa è?

Ergo Proxy è un interessante anime seinen di genere fantascientifico/psicologico ambientato in un futuro in cui la razza umana è stata quasi sterminata a causa di un’infezione e dell’inaridimento del pianeta (ricorda qualcosa?). I pochi sopravvissuti si sono rintanati in una sorta di città sormontate da enormi cupole in cui si compie un severo controllo delle nascite per garantire la sussistenza della specie. È un sistema (quasi) perfetto, in cui l’uomo è aiutato dagli AutoReiv, i robot suoi servitori. Tutto cambia quando proprio questi robotini iniziano ad essere infettati dal virus Cogito e dunque ad avere volontà propria. L’ispettrice del Citizen Intelligence Bureau, Re-I Mayer viene incaricata di indagare sui brutali omicidi commessi dagli AutoReiv infetti e da qui inizia un percorso all’interno della complessità del reale che la porta ad una speculazione sul tema dell’esistenza. La serie è costellata di riferimenti culturali e filosofici costanti ed è assolutamente un anime che vi consiglierei ad occhi chiusi. Al centro di tutto c’è il senso della vita, il destino, il controllo di sé, la libertà, l’autodeterminazione e l’autocoscienza. Che aspettate a aprire un nuovo tab e cercarlo in streaming legale su VVVVID? Giuro che non farò spoiler (e credetemi che questo mi impedisce sostanzialmente di dire tutto quello che c’è da dire su questo gioiellino).

Il primo episodio, Il battito del risveglio si apre con questa citazione:

Caro m’è ‘l sonno, e più l’esser di sasso
mentre che ‘l danno, e la vergogna dura:
Non veder, non sentir, m’è gran ventura.
Però non mi destar, deh! parla basso.

(Michelangelo, Rime, 247)

Cosa c’entra Michelangelo? Molto, ma lo capirete vedendo la serie. Nulla è affidato al caso.

La stanza di Donov Mayer, sindaco della città Romdo, è ispirata alla cappella dei Medici di Michelangelo: le quattro statue che vi si trovano all’interno sono la trasposizione di quelle che sono ai lati della cappella: Lacan è rappresentato dalla statua “La Notte”, Husserl da “Il Giorno”, Derrida da “L’alba” e Berkeley da “Il Crepuscolo”. Questa carrellata di nomi serviva per convincere gli scettici snob che non vedono i cartoni a correre a vedere questo anime. Torniamo alle rime.

A cosa si riferisce Michelangelo con queste parole? Tra il 1526 e il 1531, l’artista crea la statua in marmo La Notte come parte della decorazione della Sagrestia Nuova in San Lorenzo da Firenze. È una delle quattro allegorie delle Parti della Giornata e si trova a sinistra sul sarcofago della tomba di Giuliano de’ Medici. La notte è rappresentata come personificazione femminile accasciata dormiente sulla tomba. Si tratta di un’opera scultorea talmente vivida, da sembrare reale, tant’è che Giovanni di Carlo Strozzi ne rimane talmente tanto affascinato che sente il bisogno di omaggiarla con alcuni versi:

la Notte che tu vedi in sì dolci atti/ dormir, fu da un Angelo scolpita/ in questo sasso e, perché dorme, ha vita:/ destala, e se nol credi, e parleratti” (la notte che vedi così dolcemente dormire fu scolpita da un angelo in questo sasso e perché dorme ha vita: svegliala e se non ci credi ti parlerà). È talmente bella e sensuale da non poter essere solo un pezzo di marmo, seppure di quello liscio e perfetto tipicamente di Carrara. E’ proprio a queste parole che Michelangelo risponde con le Rime n 247.

Del resto, Buonarroti non è nuovo a queste tematiche. Sebbene non arrivi ai livelli della sua arte plastica, non si può relegare la sua scrittura nel solco del manierismo (ante litteram) petrarchista rinascimentale cinquecentesco: la sua poesia è infatti caratterizzata da grande forza e originalità, è lo specchio di una personalità geniale, sregolata e tormentata. Se, infatti, i suoi primi versi nascono sotto l’influenza delle letture dantesche e dei poeti quattrocenteschi, primi fra tutti Lorenzo il Magnifico e Pulci, è solo con la maturità che Michelangelo si dedica profondamente al poetare, che considera sempre un fatto privato e condivisibile solo con una ristretta cerchia di intimi. Nella sua produzione si susseguono brevi componimenti, sonetti o madrigali, pervasi di inquietudine religiosa verso il peccato e di riflessioni sui fondamenti epistemologici teorici e morali del fare arte.

La riflessione sul sonno e sulla notte ritorna spesso anche in altre liriche ed è centrale anche in un’altra Rima, la numero 102, O notte, o dolce tempo, benché nero:

O notte, o dolce tempo, benché nero,

con pace ogn’opra sempr’al fin assalta;

ben vede e ben intende chi t’esalta

e chi t’onor ha l’intelletto intero.

Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero;

chè l’umid’ombra ogni quiet’appalta,

e dall’infima parte alla più alta

in sogno spesso porti, ov’ire spero.

O ombra del morir, per cui si ferma

ogni miseria, a l’alma, al cor nemica,

ultimo delli afflitti e buon rimedio;

tu rendi sana nostra carn’inferma

rasciughi i pianti e posi ogni fatica,

e furi a chi ben vive ogn’ira e tedio.

(Michelangelo, Rime, 102)

 

Un po’ come nella foscoliana Alla sera, il poeta si rivolge alla Notte come a una sorta di dea foriera di requie dopo le fatiche e le preoccupazioni che assillano gli uomini nel corso della giornata. È talmente quieta che sembra assimilabile alla morte (e lo stesso concetto riecheggia poi nel “Forse perché della fatal quiete/Tu sei l’immago a me sì cara vieni, O Sera!” foscoliano), ma al contrario di Foscolo, Michelangelo non la vede come la fine di tutto, il nulla eterno, ma anzi come l’inizio di una vita rinnovata, vita già sperimentabile dove? Nel sogno, ovviamente.

Ed il sogno, non a caso, rimane al centro dei pensieri di Michelangelo: è infatti l’oggetto di uno dei suoi disegni più noti, oggi facente parte della Courtauld Gallery di Londra. Il titolo è una attribuzione di Giorgio Vasari, che lo cita con questo nome nella Vita di Marcantonio Visconti. Protagonista del foglio è un giovane semisdraiato che si appoggia al globo terrestre e guarda al cielo scrutando la figura alata che suona la tromba. Tutt’intorno turbinano figure rappresentanti i vizi, creando un movimento rotatorio che sembra speculare a quello messo in moto da Cristo nel Giudizio universale. In molti si sono scervellati sul significato profondo della rappresentazione, ma la più interessante sembrerebbe essere quella di Girolamo Tezi, secondo il quale il giovane rappresenterebbe la mente umana, avvolta dai vizi ma richiamata e guidata dalla virtù. Ma a cosa si rivolge la virtù alata? Va ricordato che Michelangelo è profondamente influenzato dalla filosofia di Marsilio Ficino, dunque è probabile che il suonatore alato miri a influenzare non la mente o il corpo, ma l’anima perché, secondo il filosofo, è propria questa ad essere il tramite tra cielo e terra ed è proprio questa che rischia talvolta di essere sopraffatta dal corpo e dunque necessita di essere indirizzata dalla virtù. Sotto al giovane si trova una cassa con delle maschere, forse testimonianti la necessità di spogliarsi delle menzogne quotidiane per comunicare davvero con l’Altrove, o forse simboleggianti la necessità di non lasciarsi influenzare dai sentimenti e dalle opinioni che modificano il volto se si vuole una riflessione profonda. Anche il globo potrebbe volerci dire tante cose diverse: si tratta del nostro globo o di uno nuovo, neutro e bianco, da colorare con la nuova conoscenza data dalle immagini suggerite dal cielo all’anima? O rappresenta anche essa un mondo terreno di cui non curarsi e da cui elevarsi? E tante altre domande senza risposta rimangono su questa come sulle altre opere “oniriche” michelangiolesche.

Insomma, Michelangelo sicuramente ha riflettuto a lungo sul sonno e sul valore dell’esperienza onirica, senza arrivare ad alcuna risposta univoca. E questo perché la realtà, specie quella onirica, non è mai realmente monosemica. Vi lascio con le parole che la Ruvoldt ha usato a proposito del Sogno, ma applicabili anche a tutte le altre opere che abbiamo brevemente nominato:

“[Il Sogno] è un’opera su cui meditare è un’opera la cui bellezza deriva dallo svolgimento senza fine del suo significato, offrendo all’osservatore il piacere di tornare ad esso ancora e ancora”.

 

Margherita Battistini

 

 

Riunione di famiglia con Morfeo

Riunione di famiglia con Morfeo

“Ci sono notti in cui non sai dormire/ E più lo chiami e più Morfeo ti dice «Non ce n’è»” Che c’entra Cremonini con me? Poco, o tanto, a seconda dei momenti storici. Piccola parentesi, tra le sue mille canzonette leggere, Le sei e ventisei 

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 2°

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 2°

La regina di Cuori rappresenta la furia cieca e la punizione ingiusta. Governa il suo regno arbitrariamente, facendo decapitare non solo qualsiasi elemento di disturbo, ma soprattutto di noia. La regina incarna tutti quegli adulti pieni di livore che affrontano le situazioni con scelte azzardate 

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 1°

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 1°

E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?
-Fernardo Pessoa

Chi di noi non ha visto almeno cento volte da bambino la versione Disney di Alice nel paese delle meraviglie? In molti hanno anche letto il romanzo omonimo da cui è tratto, ma quanti sono tornati a rileggerlo ancora da adulti? Bene, alla fine della lettura spero che tutti correrete a prenderlo in biblioteca. No, non è un libro per bambini. E no, non è fuori tema.

Don Charles Lutwige Dodgson, alias Lewis Carroll, ha scritto questo piccolo capolavoro nel 1865 dopo aver conosciuto le tre sorelle Liddell, figlie del decano dell’Università dove insegnava matematica. La leggenda narra che fossero tutti insieme in barca quando Alice Liddell chiese al parroco di distrarla con una storia e che da questo sia nata una delle migliori storie di tutti i tempi.

Veniamo al romanzo. Alice, bambina di sette anni, è seduta in giardino, quando, annoiata dal libro della sorella senza neanche un’immagine, si addormenta. Seguendo un coniglio bianco vistosamente in ritardo, cade nella sua tana e viene catapultata in un mondo sottosopra in cui farà la conoscenza di tanti esilaranti personaggi come il Brucaliffo, il Ghignagatto (Sì, il gatto dello Chesire nella traduzione italiana del libro si chiama proprio così. È stata Disney a modificarlo in Stregatto), il Cappellaio Matto e soprattutto la regina Rossa.
È proprio quando questa ordina al suo esercito di carte di catturare Alice, che la bambina viene ridestata dalla voce della sorella, cui racconta il suo intero sogno.

Proprio quando il racconto sembrerebbe giunto al termine, ecco che la sorella, rimasta sola, si addormenta a sua volta e sogna l’intero racconto di Alice. Risvegliatasi, è consapevole del futuro della sorellina: la bambina diventerà una donna forte con il cuore puro dell’infanzia e avrebbe illuminato le vite delle altre ragazze con le sue storie strampalate.

Tra le tante interpretazioni della storia (avrete sicuramente sentito parlare del mondo delle Meraviglie come allegoria di un trip lisergico!) quella sicuramente condivisibile da tutti è quella di una metafora del lungo peregrinare dell’anima dei bambini alla ricerca di una dimensione adulta che viene contemporaneamente anelata e alienata da sé in quanto misteriosa, appetibile e spaventosamente sconosciuta.

Vale la pena subito sottolineare che è nella dimensione onirica che la maturazione diviene possibile. Solo addormentandosi infatti, Alice può attraversare la prima stazione della Via Crucis della conoscenza: la stessa cosa accade a Dante, che ha smarrito la diritta via ed è entrato in una selva oscura senza esserne consapevole, tanto era insonnolito.

 

[… Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai].

Dante, Commedia

 

La caduta nel tentativo di inseguire il Bianconiglio è una metafora della caduta nell’inconscio, oltre a ricordare una fastidiosa sensazione che abbiamo avuto tutti almeno una volta nella vita e che spesso ci ha portato a un brusco risveglio. Alice però non è riportata nella realtà, ma viene catapultata in una dimensione onirica alternativa.

Il mondo sottosopra rappresenta la conflittualità tra fanciullezza e età adulta. Alice fronteggia una realtà di cui non riesce ad individuare le regole razionali. Nonostante si tratti di un romanzo di formazione interiore, la protagonista da questa avventura non imparerà insegnamenti utili per la vita da adulta, né alcun insegnamento morale tipico di tanta letteratura dell’infanzia. Forse a simboleggiare che nella crescita non ci sono porti sicuri in cui rifugiarsi e che ognuno deve arrivare all’età adulta da sé?

Il Bianconiglio è il primo personaggio con cui Alice si confronta ed è, in un certo senso, il suo alter ego rovesciato: infatti questo animaletto ossessionato dal tempo, sembra correre sempre verso un impegno che non viene mai spiegato, quasi a simboleggiare la corsa sfrenata degli adulti verso un impegno che non è chiaro neppure a loro stessi. Come ogni adulto che si rispetti, non ha tempo per le domande di una bambina, ma non va visto come un personaggio negativo: egli è l’incarnazione dello stesso scorrere del tempo ed ecco che, a livello profondo, l’intero libro è una lotta contro il tempo (Alice in fondo deve esplorare il Paese delle Meraviglie prima di svegliarsi e di crescere!) e se inizialmente il Bianconiglio non fa che correre, nelle ultime pagine non sembra più tanto antitetico a Alice quando le dice “Scappiamo Alice, qui sono tutti normali”.

Di certo normale non è il Brucaliffo: è scostante e brusco, ma diffonde al tempo stesso un’aura di saggezza -forse derivante dai fumi del narghilè-. È l’emblema del cambiamento: è talmente sfuggente da portare Alice a chiedersi chi sia davvero: “Alice rispose con qualche timidezza:-Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte”. Alla fine della loro conversazione si trasforma in farfalla.

Il Cappellaio Matto è cruciale per il significato profondo della storia: rispecchia un tema ricorrente dell’intero romanzo, vale a dire la dualità costante tra routine e eccezione (che si affianca a quella tra realtà e fantasia). È il pazzo per definizione, eppure è ancorato al tè delle sei e vi è talmente fedele, da ripeterlo spasmodicamente dopo aver litigato con il tempo che lo ha punito rendendo per lui costanti le 6 pm. “E’ sempre l’ora del tè”, ma questo tè perennemente apparecchiato, non potrà mai essere consumato, come monito dell’uomo che ha realizzato il suo sogno di controllare il tempo, ma che è cristallizzato in un eterno attimo di divenire che non è in grado di gestire. Per questo è un personaggio struggente nelle sue risate: l’eterno anelito a un desiderio irrealizzabile è la costante di tutta l’umanità.

Il Ghignagatto rappresenta il disordine all’interno dell’ordine costituito, la fantasia nella fantasia. Non a caso, il nome della versione inglese è Gatto dello Cheshire, che non è la denominazione di una strana razza felina, ma rimanda invece a un gatto leggendario presente in tanti racconti popolari inglesi, probabilmente mutuato dal Gatto Mammone, animale demoniaco che con il suo aspetto inquietante spaventa le mandrie al pascolo. Ai tempi di Carroll, era comune l’espressione sorridere come un gatto dello Cheshire (to grin like a Cheshire cat) e l’autore sembra aver fatto propria questa espressione: è un personaggio sornione, che sorride e pronuncia frasi bizzarre ma argute, si definisce pazzo ma è forse il più razionale tra gli abitanti del Paese delle Meraviglie. Sembra non avere in simpatia la Regina Rossa, ma non ha una reale antipatia per nessun personaggio, li osserva tutti da lontano, avvolto in una nuvola di sardonico distacco misto a saggezza e follia. È lui a rivelare ad Alice che in questo mondo di pazzi ci si deve comportare all’opposto di quel che sarebbe naturale ed è lui il motore invisibile- letteralmente- del finale della storia: sfruttando il proprio dono dell’invisibilità ecco che compare solo con il suo muso al cospetto della Regina Rossa, ridicolizzandone il leit motiv “Tagliatele la testa”.

 

Margherita Battistini

 

Il post continua al seguente link:

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 2°

 

Margherita

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Giuro che non sarò prolissa! O quantomeno, che ci proverò. Mi chiamo Margherita, sono una ventiseienne laureata in Lettere, con qualche sogno e pochi risultati. Oggi mi imbarco in questa nuova avventura in questo blog. Perché proprio io? Non so, chiedetelo a Marta Giovannini, che