Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 1°

E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?
-Fernardo Pessoa

Chi di noi non ha visto almeno cento volte da bambino la versione Disney di Alice nel paese delle meraviglie? In molti hanno anche letto il romanzo omonimo da cui è tratto, ma quanti sono tornati a rileggerlo ancora da adulti? Bene, alla fine della lettura spero che tutti correrete a prenderlo in biblioteca. No, non è un libro per bambini. E no, non è fuori tema.

Don Charles Lutwige Dodgson, alias Lewis Carroll, ha scritto questo piccolo capolavoro nel 1865 dopo aver conosciuto le tre sorelle Liddell, figlie del decano dell’Università dove insegnava matematica. La leggenda narra che fossero tutti insieme in barca quando Alice Liddell chiese al parroco di distrarla con una storia e che da questo sia nata una delle migliori storie di tutti i tempi.

Veniamo al romanzo. Alice, bambina di sette anni, è seduta in giardino, quando, annoiata dal libro della sorella senza neanche un’immagine, si addormenta. Seguendo un coniglio bianco vistosamente in ritardo, cade nella sua tana e viene catapultata in un mondo sottosopra in cui farà la conoscenza di tanti esilaranti personaggi come il Brucaliffo, il Ghignagatto (Sì, il gatto dello Chesire nella traduzione italiana del libro si chiama proprio così. È stata Disney a modificarlo in Stregatto), il Cappellaio Matto e soprattutto la regina Rossa.
È proprio quando questa ordina al suo esercito di carte di catturare Alice, che la bambina viene ridestata dalla voce della sorella, cui racconta il suo intero sogno.

Proprio quando il racconto sembrerebbe giunto al termine, ecco che la sorella, rimasta sola, si addormenta a sua volta e sogna l’intero racconto di Alice. Risvegliatasi, è consapevole del futuro della sorellina: la bambina diventerà una donna forte con il cuore puro dell’infanzia e avrebbe illuminato le vite delle altre ragazze con le sue storie strampalate.

Tra le tante interpretazioni della storia (avrete sicuramente sentito parlare del mondo delle Meraviglie come allegoria di un trip lisergico!) quella sicuramente condivisibile da tutti è quella di una metafora del lungo peregrinare dell’anima dei bambini alla ricerca di una dimensione adulta che viene contemporaneamente anelata e alienata da sé in quanto misteriosa, appetibile e spaventosamente sconosciuta.

Vale la pena subito sottolineare che è nella dimensione onirica che la maturazione diviene possibile. Solo addormentandosi infatti, Alice può attraversare la prima stazione della Via Crucis della conoscenza: la stessa cosa accade a Dante, che ha smarrito la diritta via ed è entrato in una selva oscura senza esserne consapevole, tanto era insonnolito.

 

[… Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai].

Dante, Commedia

 

La caduta nel tentativo di inseguire il Bianconiglio è una metafora della caduta nell’inconscio, oltre a ricordare una fastidiosa sensazione che abbiamo avuto tutti almeno una volta nella vita e che spesso ci ha portato a un brusco risveglio. Alice però non è riportata nella realtà, ma viene catapultata in una dimensione onirica alternativa.

Il mondo sottosopra rappresenta la conflittualità tra fanciullezza e età adulta. Alice fronteggia una realtà di cui non riesce ad individuare le regole razionali. Nonostante si tratti di un romanzo di formazione interiore, la protagonista da questa avventura non imparerà insegnamenti utili per la vita da adulta, né alcun insegnamento morale tipico di tanta letteratura dell’infanzia. Forse a simboleggiare che nella crescita non ci sono porti sicuri in cui rifugiarsi e che ognuno deve arrivare all’età adulta da sé?

Il Bianconiglio è il primo personaggio con cui Alice si confronta ed è, in un certo senso, il suo alter ego rovesciato: infatti questo animaletto ossessionato dal tempo, sembra correre sempre verso un impegno che non viene mai spiegato, quasi a simboleggiare la corsa sfrenata degli adulti verso un impegno che non è chiaro neppure a loro stessi. Come ogni adulto che si rispetti, non ha tempo per le domande di una bambina, ma non va visto come un personaggio negativo: egli è l’incarnazione dello stesso scorrere del tempo ed ecco che, a livello profondo, l’intero libro è una lotta contro il tempo (Alice in fondo deve esplorare il Paese delle Meraviglie prima di svegliarsi e di crescere!) e se inizialmente il Bianconiglio non fa che correre, nelle ultime pagine non sembra più tanto antitetico a Alice quando le dice “Scappiamo Alice, qui sono tutti normali”.

Di certo normale non è il Brucaliffo: è scostante e brusco, ma diffonde al tempo stesso un’aura di saggezza -forse derivante dai fumi del narghilè-. È l’emblema del cambiamento: è talmente sfuggente da portare Alice a chiedersi chi sia davvero: “Alice rispose con qualche timidezza:-Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte”. Alla fine della loro conversazione si trasforma in farfalla.

Il Cappellaio Matto è cruciale per il significato profondo della storia: rispecchia un tema ricorrente dell’intero romanzo, vale a dire la dualità costante tra routine e eccezione (che si affianca a quella tra realtà e fantasia). È il pazzo per definizione, eppure è ancorato al tè delle sei e vi è talmente fedele, da ripeterlo spasmodicamente dopo aver litigato con il tempo che lo ha punito rendendo per lui costanti le 6 pm. “E’ sempre l’ora del tè”, ma questo tè perennemente apparecchiato, non potrà mai essere consumato, come monito dell’uomo che ha realizzato il suo sogno di controllare il tempo, ma che è cristallizzato in un eterno attimo di divenire che non è in grado di gestire. Per questo è un personaggio struggente nelle sue risate: l’eterno anelito a un desiderio irrealizzabile è la costante di tutta l’umanità.

Il Ghignagatto rappresenta il disordine all’interno dell’ordine costituito, la fantasia nella fantasia. Non a caso, il nome della versione inglese è Gatto dello Cheshire, che non è la denominazione di una strana razza felina, ma rimanda invece a un gatto leggendario presente in tanti racconti popolari inglesi, probabilmente mutuato dal Gatto Mammone, animale demoniaco che con il suo aspetto inquietante spaventa le mandrie al pascolo. Ai tempi di Carroll, era comune l’espressione sorridere come un gatto dello Cheshire (to grin like a Cheshire cat) e l’autore sembra aver fatto propria questa espressione: è un personaggio sornione, che sorride e pronuncia frasi bizzarre ma argute, si definisce pazzo ma è forse il più razionale tra gli abitanti del Paese delle Meraviglie. Sembra non avere in simpatia la Regina Rossa, ma non ha una reale antipatia per nessun personaggio, li osserva tutti da lontano, avvolto in una nuvola di sardonico distacco misto a saggezza e follia. È lui a rivelare ad Alice che in questo mondo di pazzi ci si deve comportare all’opposto di quel che sarebbe naturale ed è lui il motore invisibile- letteralmente- del finale della storia: sfruttando il proprio dono dell’invisibilità ecco che compare solo con il suo muso al cospetto della Regina Rossa, ridicolizzandone il leit motiv “Tagliatele la testa”.

 

Margherita Battistini

 

Il post continua al seguente link:

Alice nel Paese delle Meraviglie e attraverso lo specchio. Parte 2°