Mese: Ottobre 2020

Il Papa. Percorso musicale con i Maggiori

Il Papa. Percorso musicale con i Maggiori

Il Papa in musica Non vi è, in tutta probabilità, compositore la cui opera sia maggiormente adeguata al fine di evocare le atmosfere e i significati del V arcano di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), denominato Princeps musicae, formatosi e vissuto a Roma, nel cuore 

L’Imperatore. Percorso musicale con i Maggiori

L’Imperatore. Percorso musicale con i Maggiori

L’Imperatore in musica Nella vasta produzione per pianoforte di Ludwig van Beethoven (32 sonate, 5 concerti, numerose raccolte di variazioni e altro ancora) troviamo un’opera alla quale la tradizione ha posto il titolo di Imperatore. Si tratta, per la precisione, del Concerto n.5 per pianoforte 

L’Imperatrice. Percorso musicale con i Maggiori

L’Imperatrice. Percorso musicale con i Maggiori

L’Imperatrice in musica

Regalità, autorità, potere, fascino sono i primi significati che promanano dall’Imperatrice, che ci sembrano adeguatamente rappresentati da un celebre pezzo del repertorio barocco: si tratta della sinfonia che apre il terzo atto dell’oratorio Solomon del compositore tedesco Georg Friedrich Handel, intitolata L’arrivo della regina di Saba (anno di composizione 1748, prima rappresentazione al Covent Garden Theatre di Londra nell’anno successivo).

Quella della sovrana del misterioso regno di Saba (o Shebha), di cui non si conosce il nome, è una figura quasi mitica, presente nella tradizione sia biblica che coranica oltre che nei racconti d’Etiopia e Abissinia, della quale si dice fosse divenuta amante del Re Salomone e che verrà ricordata dalle parole dello stesso Cristo nel Vangelo di Luca e Matteo come donna che parteciperà al giudizio finale: saggezza, splendore, estrema ricchezza (incommensurabili i tesori che avrebbe portato in dono al Re in occasione della sua visita), ricordano l’atmosfera nobile e lussureggiante del terzo arcano. Nella sua brevità il brano è un emblematico esempio di come la musica riesca ad esprimere e a tratteggiare simili significati di carisma, potere, ordine: una chiara e regolare figurazione in semicrome degli archi apre il numero d’opera, poggiata su una ferma linea dei bassi, in frasi elegantemente e riccamente ornate; netta la divisione e la corrispondenza simmetrica tra il tutti dell’orchestra (con il delicato tintinnare del cembalo a scandire le armonie del basso continuo) e le evoluzioni della coppia di oboi solisti, con il loro timbro luminoso e dolce. Una effervescenza ritmica, incastonata tuttavia in una precisa quadratura come nella migliore tradizione barocca, percorre il brano da cima a fondo, delineando l’incedere nobile e autorevole della regina e della sua corte attraverso le sapienti e fulgide modulazioni della trama musicale. Il brano in questione, nella magistrale interpretazione dell’Academy of Ancient Music diretta e fondata dal clavicembalista Christopher Hogwood, si può ascoltare in un LP del 1981 su etichetta L’Oiseau-Lyre dal titolo “Pachelbel Canon Haendel-Vivaldi-Gluck”, assieme ad altri celebri brano del repertorio barocco.

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Se consideriamo ancora una volta invece il lato inferiore dell’archetipo, il suo rovesciamento, ci mettiamo in condizione di scoprire nuove affinità, corrispondenze, significati: come sarebbe un Imperatrice sterile, gelida, annunciatrice di un vuoto, di un buco nero che attira a sé senza tuttavia nulla lasciar uscire? Tra la fine degli anni ’60 e per tutto il decennio seguente la storia della musica ha conosciuto la complessa figura di Christa Päffgen (1938-1988), in arte Nico, cantante, cantautrice, modella, attrice, musa ispiratrice e chanteuse dallo scuro registro contraltile del complesso di Reed e Cale, The Velvet Underground. Dopo l’esperienza newyorchese nella Factory di Andy Warhol e compagni, ha intrapreso una produzione solista che conta 6 LP pubblicati tra il 1967 e il 1985: molti ritengono l’album Desertshore (LP US, Reprise Records 1970) il picco della sua carriera artistica.

Chi è Nico, quali sono le caratteristiche della sua figura? Non è facile tracciare un identikit della femme fatale teutonica: donna e artista misteriosa, sfuggente, umbratile, gelida, avvolta in profonde angosce e in preda a dipendenze, scomparsa a causa di un banale incidente sull’isola di Ibiza, sembra osservarci con uno sguardo da sfinge dal suo trono di imperatrice e creatrice di canzoni ieratiche e monolitiche, capace comunque di maneggiare un potere creativo che lascia stupefatti. L’intero disco si colloca in uno spazio desertico, arido, isolato, dove non cresce la vita e si respira un’atmosfera statica e sacrale, espressa dalla scelta preminente, e certo inusuale per un disco di musica rock, dei timbri dell’harmonium – solenne e sinistro – e della viola, cupa e barocca. Pazzia, solitudine, incomunicabilità e tragedia sono i risultati della forza enorme di un potere fuori controllo, che invece di aprirsi alla fecondazione si ripiega e si riavvolge su se stesso: da questo angusto orizzonte non mancano tuttavia di proiettarsi, in istanti, divini bagliori di luce. All That Is My Own è la traccia conclusiva dell’opera, quasi un tentativo disperato di rialzarsi dall’abisso, annunciata da squilli di trombe e sorretta dall’antica sonorità del cembalo e da un incalzante ritmo marziale. Altissima la declamazione e il canto, nobile come una regina che proclami le sue ultime volontà, in cui Nico sembra scindersi e sdoppiarsi in due personalità distinte, quella delle strofe cantate e quella che recita parlando il suo invito profetico:

He who knows may pass on

the word unknown

and meet me on the desertshore

 

Colui che ha la conoscenza può passare oltre

la parola ignota

ed incontrarmi ai bordi del deserto

 

Ascolti:

Georg Friedrich Handel – Sinfonia, arrival of the queen of Sheba (Solomon) da “The Academy of Ancient Music Christopher Hogwood – Pachelbel canon, Handel, Vivaldi, Gluck” (LP L’Oiseau-Lyre UK & Ireland, 1981)

 

Nico – All That Is My Own da Desertshore (LP US Reprise Records, 1970)

 

Bibliografia:

Christopher Hogwood – Georg Friedrich Handel (Edizioni Studio Tesi, 1991)

Gabriele Lunati – Nico, bussando alle porte del buio (Stampa alternativa, 2006)

Massimo Palma – Nico e le maree (Castelvecchi, 2019)

 

Aldo Pavesi

 

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La Papessa. Percorso musicale con i Maggiori

La Papessa. Percorso musicale con i Maggiori

La Papessa in musica Lo straordinario arcano della Papessa (o come era anticamente denominata in alcuni dei primi mazzi di tarocchi: la Fede) che costella i significati di conoscenza, sophia, principio femminile, ricettività meditativa, mistero e silenzio, ci permette di soffermarci su un’altra straordinaria figura 

Il Bagatto. Percorso musicale con i Maggiori

Il Bagatto. Percorso musicale con i Maggiori

Il Bagatto in musica L’arcano che effettivamente, con i sui velati riferimenti al carattere iniziatico del Magnum Opus, apre la serie della via dei Tarocchi è il Bagatto o Mago, portatore di significati che rimandano alle abilità di progettare e realizzare, alle potenzialità molteplici, all’uso 

Il Matto. Percorso musicale con i Maggiori

Il Matto. Percorso musicale con i Maggiori

Il Matto in musica

Il Matto, raffigurato come un giovane viandante vestito in abiti da giullare di corte, calato in un contesto mitico e atemporale, si incammina verso l’orizzonte tallonato da un animale che si direbbe essere un cane: è interessante notare che al dio egizio Anubi, rappresentato come un uomo con testa di cane, era assegnato l’importante ruolo di accompagnatore delle anime nel regno dei morti; in un certo senso anche Le Mat accompagna l’individuo lungo il meraviglioso viaggio attraverso gli arcani, dal caos iniziale fino alla completa realizzazione finale. Egli simboleggia il caos iniziale che precede l’ordine del cosmo, la totalità vertiginosa delle possibilità, la mutevolezza delle forme, il carattere inafferrabile e sacro della follia (e della verità).

Come Il Matto, sotto molti aspetti, si pone all’inizio del percorso degli arcani e a principio originario del sistema del Tarot, allo stesso modo è interessante notare che tra le prime testimonianze scritte all’interno della vasta tradizione musicale europea si trova un tema denominato appunto Follia, basato su una semplice progressione armonica di quattro basilari elementi – anche in questo caso è evidente la corrispondenza con i quattro semi dei tarocchi – e con il quale diversi compositori, da Lully a Bach, da Corelli a Handel, nel corso della storia della musica si sono cimentati, o lo hanno inserito come citazione nelle loro opere. Tra costoro vi è il veneziano Antonio Vivaldi (1678 – 1741), considerato tra i massimi esponenti del barocco musicale, la cui opera prima del catalogo, le 12 Sonate per 2 violini e basso continuo, contiene, nell’ultimo lavoro della raccolta (numerazione RV 63, pubblicata nel 1705) le variazioni in Re minore sul tema della follia.

La caratteristica di questo lavoro consiste appunto nella scelta del compositore di utilizzare la forma del tema con variazioni, la quale consente una ampia libertà di creazione e modellamento del materiale musicale, trasformando di volta in volta la tipica struttura del tema principale in una veste nuova e diversa. Il percorso delle variazioni si snoda dunque in 20 movimenti che arricchendo, ampliando e ornando il tema iniziale esprimono differenti, anche opposti, stati d’animo e situazioni, in un climax che si fa via via maggiormente carico di tensioni, osservabile anche dalle diverse indicazioni agogiche prescritte dal compositore: dall’adagio iniziale all’allegro della sedicesima variazione, passando per i diversi tempi di andante, vivace, allegro, larghetto…a sottolineare l’andatura zigzagante ed errante del Matto.

Tale tesa convivenza di opposti, nell’alternarsi di tempi rapidi e lenti, è rintracciabile da subito nel contrasto tra la prima esposizione del tema, che presenta un carattere solenne, malinconico e assorto su di un ritmo ternario puntato che rimanda all’antica e austera danza della sarabanda – nella tonalità di Re minore, associata da vari studiosi all’umore melanconico e allo spleen – e le sensazioni di fremito, movimento e delirio evocate dalle figurazioni musicali sempre più accelerate delle variazioni successive. Vedere ad esempio, per citare solo i punti più rappresentativi, la variazione n.2, in tempo andante, con i suoi toni accorati e lamentosi, scritta in valori più stretti, o gli ampi e bruschi salti della n.3, che scattano, in maniera quasi isterica, da un registro all’altro degli strumenti, oppure le rapide scale discendenti della n.4 o il basso vorticoso della n.6.

Dopo la sosta languida della quindicesima variazione (Adagio) il veloce crescendo della musica si fa ancora più urgente e parossistico: fulminee figurazioni si susseguono e si intrecciano quasi ossessivamente, per scomparire, dopo un perentorio intervento del basso, nel silenzio e nel nulla dal quale sono venute, lasciando l’ascoltatore ad interrogarsi sulla smorfia indecifrabile, incosciente, imprevedibile, del Matto.

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In epoca più recente, volgendo l’attenzione della nostra ricerca al vastissimo panorama di quella che viene oggi comunemente denominata popular music (che comprende al suo interno tutte quelle forme artistiche non tradizionalmente colte o accademiche, come il rock, il pop e il folk) troviamo una figura piuttosto nota, membro fondatore in effetti di uno dei complessi più famosi di tutti i tempi: Roger Keith “Syd” Barrett, chitarrista nei Pink Floyd e in seguito autore di due dischi in veste di solista pubblicati nel 1970 su etichetta Harvest.

Il diamante pazzo, come fu definito dagli stessi compagni nella celeberrima suite in sua memoria “Shine on you crazy diamond” è stato infatti uno degli artisti e delle menti più follemente creative dell’intensa stagione del rock psichedelico, la scheggia impazzita tra luci e ombre degli swinging sixties, visionario e allucinato viaggiatore, esploratore di spazi ultra-dimensionali (lettore appassionato di Castaneda, Tolkien e dell’I-Ching), creatore magico di canzoni popolate da varie entità fantastiche, autore e scrittore di testi metaforici e desolati, cantati dai recessi sempre più angusti di una mente caduta nel disordine della paranoia e della schizofrenia: si potrebbe pensare alla raffigurazione dell’arcano nel mazzo Rider-Waite, un giovane ebbro ed euforico che, spinto da un impulso inevitabile al viaggio nel cosmo, si spinge pericolosamente e in modo incosciente sul ciglio di un dirupo…

 

You reached for the secret too soon

you cried for the moon

shine on you crazy diamond

threatened by shadows at night

and exposed in the light

shine on you crazy diamond

 

Troppo presto hai raggiunto il segreto

tu che invocavi la luna

risplendi diamante pazzo

inseguito dalle ombre delle notte

e indifeso di fronte alla luce

splendi ancora, folle diamante

 

Il brano proposto, Love You, dall’album The Madcap Laughs, è uno schizzato crocevia tra le filastrocche per bambini e un rhythm n’ blues sbrindellato, su pianoforte tintinnante e accordi di chitarra strappati e grattati: dietro un’atmosfera apparentemente scanzonata si avverte un’aria stralunata e nervosa, Le Mat che recita le sue rime in piena libertà, scivolando sulle convenzionali regole della forma musicale, con la voce di Barrett che suona spesso monotona e distante, quasi incurante degli strumenti attorno, come se provenisse da una dimensione lontana o da una qualche galassia raggiunta in uno dei suoi viaggi interstellari. Le Mat e Syd che danzano scomposti al suono penetrante dei campanelli.

Toby Manning e Nicholas Schaffner, esperti biografi della band inglese, riportano nei loro testi la descrizione dell’ultima sessione di prove di Syd con i restanti membri del gruppo: il chitarrista si presentò ai suoi compagni con un brano dal titolo “Have You Got It Yet?” (“Non ci siete ancora riusciti?”). Il pezzo in questione sembrava sulle prime essere piuttosto semplice, tuttavia nel corso della prova divenne talmente complesso da risultare impossibile da suonare. Ben presto i tre realizzarono che mentre essi erano intenti ad eseguirlo, Barrett ne cambiava di volta in volta la struttura e gli accordi: interrompeva i compagni, lo suonava da capo inserendo cambiamenti ogni volta diversi e cantava: “non ci siete ancora riusciti?” mentre tutti, disorientati, rispondevano “no!”… Anni dopo, in un’intervista rilasciata per la BBC, Roger Waters dichiarò che in quel frangente lasciò a terra il suo basso, lasciò la sala e che quella fu l’ultima volta che Syd suonò insieme alla band. L’ultimo sberleffo del matto.

 

Ascolti:

Il Giardino Armonico (direttore: Giovanni Antonini) – Sonata op.1 n.12 in D minor RV 63 “La Follia” (for two violins and basso continuo) dall’album Vivaldi, La tempesta di mare, La notte, La follia e altri famosi concerti da camera

Etichetta: Teldec Classics International GmbH, CD Germany 1993

 

Syd Barrett – Love You da The Madcap Laughs, LP UK Harvest 1970 (e successive numerose ristampe in LP, CD, Cass)

 

Bibliografia:

Michael Talbot – Vivaldi EDT, Torino 2013

Nicholas Schaffner – Lo scrigno dei segreti, l’odissea dei Pink Floyd, Arcana, Roma 2014

Rob Chapman – Syd Barrett, un pensiero irregolare, Stampa Alternativa, Roma 2012

Paolo Caponi – Swinging London! Libraccio editore, Milano 2012

 

Aldo Pavesi

 

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